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Questo articolo è stato pubblicato il 07 ottobre 2012 alle ore 14:00.

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Il Consiglio di Stato ha bocciato il decreto del Tesoro per l'applicazione dell'Imu sugli enti non commerciali, e quindi anche sulla Chiesa. Il decreto, secondo Palazzo Spada, in molte parti «esula» dalle competenze che erano state affidate dalla legge. Nella sentenza si legge che «non è demandato al Ministero di dare generale attuazione alla nuova disciplina dell'esenzione Imu per gli immobili degli enti non commerciali».

I possibili scenari
L'applicazione dell'Imu alla Chiesa è di nuovo appesa a una legge. Dopo la bocciatura del Consiglio di Stato sul regolamento messo a punto dal Governo servirà una nuova norma per estendere agli enti ecclesiastici e al non profit il prelievo del tributo comunale sugli immobili. E il ministero dell 'Economia è già al lavoro per individuare la soluzione più adatta.

Sono due le possibili strade per attribuire rango di legge alle disposizioni contenute nel testo "cassato" da Palazzo Spada: prevedere una norma ad hoc che, modificando l'articolo 91-bis, comma 3, del Dl 1/2012, consenta all'Economia di disciplinare l'intera materia (e non solo le «modalità e i termini») con un suo decreto ministeriale; trasportare l'intero regolamento in un testo legislativo e dargli forza di fonte primaria.

La prima strada darebbe all'Esecutivo più libertà d'azione perché basterebbe un atto di via XX Settembre a disciplinare applicazione ed eventuali esenzioni graduate sul tipo di non commerciabilità dell'attività svolta. Atto che sulla carta di fatto già esiste ed è l'articolato respinto (non nel merito) dai giudici amministrativi. Ma che stavolta supererebbe i limiti di «eccesso di regolamentazione» denunciati dal parere del Consiglio di Stato.

In alternativa il Governo potrebbe trasformare quel regolamento in una legge evitando di demandare a un provvedimento attuativo la definizione del meccanismo di prelievo. Ma gli spazi per possibili manovre future verrebbero drasticamente ridotti. A quel punto, per stabilire in che misura l'attività commerciale svolta in un bene della Chiesa o del non profit è soggetta all'Imu, potrebbero tornare in auge i criteri analitici utilizzati negli articoli 3 e 4 del regolamento bocciato dal Consiglio di Stato. Ad esempio l'accreditamento o il convenzionamento con lo Stato per le attività assistenziali e sanitarie o i differenti parametri stabiliti per la compatibilità del pagamento di rette con la natura non commerciale dell'attività: dalla gratuità o dal carattere simbolico della retta (attività culturali, ricreative e sportive), all'importo non superiore alla metà di quello medio previsto per le stesse attività svolte nella stessa zona con modalità commerciali (attività ricettiva e in parte assistenziali e sanitarie), fino alla non copertura integrale del costo effettivo del servizio (attività didattiche).

Una volta individuato il sentiero da seguire il Governo dovrà scegliere il veicolo da utilizzare. Quello a portata di mano in tempi brevi è emendare in Parlamento il decreto sugli enti locali in dissesto approvato giovedì scorso in Consiglio dei ministri e in attesa di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. I 60 giorni previsti per la sua conversione consentirebbero all'Esecutivo di rispettare il termine iniziale di decorrenza (1° gennaio 2013) per l'applicazione del tributo comunale anche alla Chiesa. Il gancio per rendere ammissibile l'emendamento già c'è ed è la presenza nel decreto di un'altra misura in materia di Imu: la proroga al 30 novembre dei termini per la presentazione della relativa dichiarazione.

Agire in tempi stretti, inoltre, rappresenterebbe anche una risposta immediata a possibili nuove contestazioni della Commissione Ue che nel 2010 ha avviato una procedura d'infrazione contro il nostro Paese per gli allora sconti Ici alla Chiesa. Anche perché i radicali hanno già annunciato che segnaleranno all'Ue ulteriori tentativi di dilazione nella cancellazione dei "privilegi" riconosciuti al mondo del non profit.

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