Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 09 ottobre 2012 alle ore 06:40.

My24


«Sulla base di informazioni pubbliche e riservate, non si può escludere che Huawei e Zte siano libere da influenze statali e quindi rappresentano una minaccia alla sicurezza degli Stati Uniti e dei suoi sistemi». Le conclusioni di un rapporto del Congresso di Washington, prontamente contestate dal Governo cinese, sono piuttosto tranchant: meglio non comprare le apparecchiature per telecomunicazioni da quelle due aziende, perché potrebbero nascondere soluzioni software e hardware per spiare o, peggio, per attaccare l'America.
Peccato che quelle due aziende siano il secondo e il quinto costruttore mondiale di infrastrutture per le comunicazioni fisse e mobili, che nel 2011 hanno fatturato rispettivamente 32 e 17 miliardi di dollari. Nonostante i sospetti che circondano le attività di Huawei – fondata nel 1987 da Ren Zhengfei, un ex ingegnere dell'esercito cinese – le sue reti digitali già servono quasi tutte le imprese di telecomunicazioni del mondo, Italia inclusa. Si fa prima a dire chi non è suo cliente: AT&T e Sprint in America, Rogers in Canada e Ntt DoCoMo in Giappone. «L'onestà e l'indipendenza di Huawei – ha dichiarato a caldo il portavoce William Plummer – sono considerate e rispettate in quasi 150 mercati del mondo».
«Indipendenza» è la parola-chiave. Le 59 pagine del rapporto presentato ieri in Congresso dopo un anno di indagine, puntano il dito su una lunga lista di ombre: corruzione, sussidi illegali, affari con l'Iran e legami con il Partito comunista e l'esercito cinese. È in virtù di questi indecifrabili legami, che a marzo l'Austrialia ha deciso di escludere Huawei dalla gara per costruire il National Broadband Network da 35 miliardi di dollari.
Oltre alla sinistra carriera militare del fondatore, la Huawei si autodefinisce un'impresa «collettiva»: ufficialmente, il Governo di Pechino non detiene azioni, che sono distribuite – senza troppa trasparenza – fra tutti i suoi dipendenti. Zte invece, essendo quotata a Shenzhen e a Hong Kong, ha un atteggiamento assai meno misterioso e assicura di essere altrettanto indipendente dalla Repubblica Popolare. Però anche qui, c'è chi ha dei dubbi: fondata nel 1985 da un gruppo di società statali legate al ministero dell'Aerospazio, potrebbe non aver mai reciso quel cordone ombelicale.
Il guaio è che il nuovo mondo digitale, oltre a essere un'opportunità per il genere umano, è anche una manna per cyber-spie e cyber-soldati. Da un lato, la Cina è sospettata di aver trafugato più informazioni per via elettronica, di quante siano riusciti a fare eserciti di spie durante la Guerra fredda. Dall'altro, la tecnologia rende possibile l'inclusione di codice "malevolo" nelle apparecchiature hardware, senza che nessuno sia in grado di individuarlo a priori.
«Semplicemente non possiamo affidare sistemi così vitali ad aziende legate allo Stato cinese», ha sintetizzato Mike Rogers, presidente della Commissione Intelligence del Congresso. «Uno Stato che è il massimo responsabile del cyberspionaggio ai danni dell'America». «Auspichiamo che il Congresso dimentichi i pregiudizi, rispetti i fatti e faccia di più per promuovere le relazioni economiche fra Cina e Usa – ha risposto ieri Hong Lei, portavoce del ministero cinese degli Esteri – invece che l'esatto contrario». Nel frattempo, il rapporto pubblicato dalla Commissione rompe le uova nel paniere di Huawei e Zte, proprio ora che si stavano allargando al settore consumer (con smartphone e tablet) anche su scala mondiale.
Solo nell'ultimo mese, Washington ha denunciato la Cina al Wto per sussidi al settore automobilistico e Obama in persona ha proibito a un'impresa cinese di costruire un parco eolico nell'Oregon, vicino a un complesso militare. Ma l'attacco a queste due regine dell'astro tecnologico cinese, rischia di aprire una contesa che durerà a lungo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Shopping24

Dai nostri archivi