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Questo articolo è stato pubblicato il 11 ottobre 2012 alle ore 06:39.

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Un patrimonio della 'ndrangheta. Dette in altro contesto geografico queste parole – gravissime – suonerebbero già sentite se riferite a un politico. Dette a Milano, dal procuratore aggiunto della Procura di Milano, Ilda Boccassini, assumono una connotazione diversa.
Il patrimonio è (sarebbe secondo l'accusa) l'assessore alla Casa della Regione Lombardia Domenico Zambetti. Le indagini che hanno condotto al suo arresto e le altre che, con meno clamore, sono affiorate sempre ieri testimoniano inequivocabilmente che la ‘ndrangheta ha replicato a Milano e in Lombardia il modello criminale calabrese per l'aggiudicazione degli appalti. Il voto di scambio – che si è riaffacciato in questa regione – è una variante che per la prima volta è basata su solide basi.
Per portare in alto Zambetti sarebbero intervenute cosche reggine e joniche: Morabito-Bruzzaniti di Africo, Barbaro-Papalia di Platì e Mancuso di Limbadi. Coloro i quali hanno tirato le fila sono due vecchie conoscenze. In particolare Giuseppe D'Agostino era già comparso nell'inchiesta sul l'Ortomercato.
La rete criminale puntava inequivocabilmente agli appalti ed è facile intuire che il "ventaglio" di voti probabilmente non ha abbracciato soltanto Zambetti. Puntare su un unico cavallo non è un lusso che le cosche possono permettersi per arrivare all'obiettivo: lavori e favori. È il gip di Milano, Alessandro Santangelo, che nell'ordinanza di custodia cautelare spiega che Zambetti ha promesso e «in parte concretamente» attuato, «assunzioni presso enti pubblici» e l'«assegnazione preferenziale di appalti e lavori pubblici gestiti dalla Regione» e «un'altra serie di favori».
A pagina 10 dell'ordinanza si legge testualmente che l'assunzione all'Azienda dell'edilizia residenziale pubblica (Aler) della figlia di un presunto boss di Limbadi, era propedeutica all'inserimento della 'ndrangheta in uno dei gangli vitali della Regione e, allo stesso tempo, forniva un contributo al rafforzamento e all'allargamento del giro di affari. Non solo. Quella infiltrazione, probabilmente studiata a tavolino, serviva anche per tenere (anche in futuro) sempre vivo il patto tra politica inquinata e cosche.
Gli appalti a Milano si riaffacciano anche nel contatto che Zambetti avrebbe avuto con Paolo Martino, presunto boss di ‘ndrangheta, uomo ritenuto vicinissimo alla cosca De Stefano, entrati mani e piedi nell'indagine del pm calabrese Giuseppe Lombardo sulla Lega. Un filone di quella indagine sta portando a mettere sotto la lente proprio gli affari nell'edilizia milanese della cosca De Stefano.
Ieri però altre due indagini – parallelamente – hanno messo a fuoco gli appetiti sul mattone. La prima – sugli eccessivi ribassi d'asta per la gara della cosiddetta piastra, vale a dire le opere di urbanizzazione sul sito espositivo - ha coinvolto un ingegnere di Infrastrutture Lombarde.
La seconda parte da lontano ma rischia di provocare un terremoto. Guarda caso, ancora una volta, viene tirata in ballo la cosca Mancuso di Limbadi (Vibo Valentia). Il pm della Dda di Catanzaro, Pier Paolo Bruni, ieri ha emesso due decreti di perquisizione nei confronti di una ventina di indagati. Il filo conduttore con la Lombardia, dichiara al Sole 24 Ore il pm Bruni, è doppio perché «c'è l'accaparramento di appalti in quella regione attraverso la cosca e le indagini investigative ce ne stanno dando conferma. Abbiamo individuato le società e ora andremo a vedere con chi avevano contatti».
http://robertogalullo.blog.ilsole24ore.com

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