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Questo articolo è stato pubblicato il 12 ottobre 2012 alle ore 18:05.

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La Procura di Palermo ritiene inammissibile il ricorso presentato alla Corte Costituzionale dal Quirinale sulla vicenda delle intercettazioni che interessano il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Inammissibile perché «non si riesce a comprendere come si possa richiedere al p.m. di distruggere la documentazione delle registrazioni delle intercettazioni, quando il p.m. non ha un siffatto potere», si legge nella memoria depositata dal collegio difensivo alla Consulta. E inoltre il ricorso sarebbe infondato dal punto di vista della difesa delle prerogative presidenziali.

Se il Capo dello Stato avesse, infatti, «un'immunità assoluta» e «gli si riconoscesse una totale irresponsabilità giuridica anche per i reati extrafunzionali», questo coinciderebbe con la «qualifica di inviolabile che caratterizza il Sovrano nelle monarchie». Argomentando sul ricorso presentato dal Quirinale e ritenuto infondato dai legali che rappresentano i pm di Palermo, la memoria di costituzione affronta il tema dell'immunità presidenziale.

«Un'immunità assoluta - si legge nella memoria difensiva - potrebbe essere ipotizzata per il Presidente della Repubblica solo se, contraddicendo i principi dello Stato democratico-costituzionale, gli si riconoscesse una totale irresponsabilità giuridica anche per i reati extrafunzionali. Una simile irresponsabilità finirebbe invece per coincidere con la qualifica di inviolabile, che caratterizza il Sovrano nelle monarchie ancorché limitate: una inviolabilità che - tenuta distinta dalla inviolabilità garantita dallo Statuto e dalle leggi a tutti i cittadini - implicava la totale immunità dalla legge penale nonchè dal diritto privato quanto a particolari rapporti».

Negli atti viene anche preso ad esempio il caso della monarchia spagnola: «È ben vero - si legge negli atti - che ancora oggi si ritiene che l'inviolabilità del Re, nell'ordinamento spagnolo, ne escluda del tutto la responsabilità civile e penale anche extrafunzionale, e pertanto egli non può essere sottoposto nè direttamente nè indirettamente a investigazione penale (ma non quando venga in gioco la sicurezza nazionale). Inoltre si ritiene in dottrina che una legittima intercettazione di una conversazione telefonica nella quale accidentalmente figuri il Re come mero interlocutore non equivale a investigare la persona del Re, e quindi la registrazione della conversazione ben potrebbe essere valutata dal giudice istruttore che ne ordinerà la distruzione solo se irrilevante ai fini delle indagini, mentre in caso contrario resterebbe agli atti qualora la sua distruzione possa danneggiare l'accusa oppure la difesa con conseguente violazione dell'art. 24 della Costituzione spagnola».

La Consulta: indiscrezioni su intercettazioni non da noi
«Le indiscrezioni sul numero delle intercettazioni telefoniche concernenti il Capo dello Stato, le relative date e la loro esatta durata non provengono da ambienti della Corte Costituzionale, la quale ha provveduto a conservare tutti gli atti del procedimento con il massimo riserbo. Per altro, qualche organo di stampa ha dimostrato di essere a conoscenza di tali elementi che sono contenuti nella memoria della costituzione in giudizio della Procura della Repubblica di Palermo».

Le quattro telefonate tra Mancino e il presidente
Sono state quattro le telefonate dell'ex ministro Nicola Mancino rivolte a Giorgio Napolitano intercettate dai magistrati. È quanto si legge negli atti depositati alla Corte costituzionale dalla Procura di Palermo nell'ambito del conflitto di attribuzione sollevato dal presidente della Repubblica per le intercettazioni nell'inchiesta sulla presunta trattativa Stato-mafia. Tra le 9.295 conversazioni telefoniche complessivamente registrate sulle utenze del senatore Nicola Mancino - si legge - dal 7 novrembe 2011 al 9 maggio 2012 soltanto 4 (quattro) hanno riguardato sue conversazioni col presidente della Repubblica Giorgio Napolitano.

Telefonate che peraltro non sono mai state trascritte. La polizia giudiziaria, infatti non ha effettuato, anche su disposizione della Procura della Repubblica di Palermo, alcuna trascrizione delle conversazioni tra il senatore Mancino e il Presidente della Repubblica le cui registrazioni sono tuttora custodite dalla Procura della Repubblica. Negli atti si sottolinea inoltre che «le conversazioni con il Presidente della Repubblica non hanno mai formato oggetto di deposito che determinasse la possibilità della conoscenza ad opera di qualsivoglia parte processuale».

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