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Questo articolo è stato pubblicato il 13 ottobre 2012 alle ore 08:14.

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Senza bravi docenti, non esiste una buona scuola. E per questo la proposta contenuta nella bozza del ddl Stabilità di aumentare a 24 ore l'orario di servizio settimanale degli insegnanti della scuola primaria e secondaria si muove nella giusta direzione. In che senso? Perché valorizza, davvero, la professione insegnante, allineando l'Italia alle medie europee. E, in più, consente di liberare risorse che possono essere investite per potenziare l'attività didattica. Ma anche, perché no, per migliorare la condizione dei professori stessi.
Non è un mistero infatti che oggi i circa 750mila insegnanti italiani, pur avendo formalmente lo stesso orario di servizio, abbiano livelli d'impegno diversi. C'è per esempio, alle medie e superiori, chi si limita scrupolosamente alle 18 ore settimanali previste dal contratto. Ma c'è anche una grossa fetta di docenti che per passione e amore della scuola lavorano oltre l'orario previsto, e senza ottenere nessun riconoscimento, se non solo morale. Tutto questo si traduce in una penalizzazione per i docenti meritevoli, con possibili ricadute sulla motivazione e quindi sulla qualità dell'offerta scolastica. Già da qualche anno il problema più grande della scuola è quello di attirare docenti e presidi di qualità. Se correttamente inteso, l'innalzamento di sei ore dell'orario di servizio potrebbe interviene proprio su questo aspetto. E se attraverso la legge di stabilità si doveva chiedere un risparmio all'Istruzione, la strada percorsa mi sembra ragionevole. L'idea cioè di un docente a tempo pieno di 24 ore che riceve i giusti riconoscimenti è un fatto positivo. E ciò non toglie, con un po' più di coraggio, di pensare anche a docenti che lavorino con contratti a tempo parziale, di minimo 8 ore. Si pensi per esempio a un istituto tecnico per geometri e a quanto sarebbe utile avere un insegnante architetto che abbia già un proprio studio ma che decide di lavorare 8 ore a scuola per trasmettere ai ragazzi le sue competenze professionali, creando così quel "ponte" tra scuola e lavoro, di cui oggi si avverte sempre più la necessità. E senza togliere ai docenti che vogliono restare al lavoro per 18 ore la possibilità di farlo, ma con uno stipendio ridotto.
Si spera che l'intervento su cui sta ragionando il Governo non si limiti a recuperare con le sole vacanze il maggiore impegno dei docenti, ma arrivi a far crescere la retribuzione degli insegnanti più "operosi". E questo si può ottenere dai risparmi che comporterebbe questa misura, se per esempio la metà delle economie realizzate (si parla di un miliardo di euro l'anno in totale) potrebbero essere reinvestite nella scuola. Potenziando l'opzione della seconda lingua, incentivando l'attività sportiva, e in genere migliorando la qualità dei docenti, riconoscendo, pure, periodi "sabbatici" (nell'università, nelle imprese, all'estero). L'esperienza degli altri Paesi europei ci spinge in questa direzione, e non è vero che i docenti italiani non possano lavorare di più, se opportunamente motivati e incentivati. Questo dovrebbe essere compreso anche dai sindacati che si sono subito dichiarati contrari all'intervento. Fanno battaglie legittime, ma corporative. Sarebbe opportuno ascoltare i docenti, e non credo che la maggior parte di loro sarebbe contrario a veder riconosciuto di più e meglio il proprio lavoro.
© RIPRODUZIONE RISERVATA di Luisa Ribolzi

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