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Questo articolo è stato pubblicato il 16 ottobre 2012 alle ore 06:41.

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L'obiettivo resta lo stesso: persuadere l'Iran a sospendere il suo programma di arricchimento nucleare e riportarlo al tavolo negoziale. Il mezzo per raggiungerlo, anche: colpire l'economia della Repubblica islamica. Ma questa volta il nuovo e duro round di sanzioni approvato ieri dall'Unione Europea rischia davvero di mettere a dura prova la resistenza degli ayatollah.
A tre mesi e mezzo dall'entrata in vigore dell'embargo europeo contro l'import di greggio da Teheran, i 27 Stati membri hanno compreso che il tempo sta per scadere (l'Iran si sta avvicinando alla capacità di costruire una bomba atomica). E che la pazienza di Israele, pronta a sferrare un attacco se Teheran dovesse superare la linea rossa tracciata dal premier Benjamin Netanyahu, non è infinita.
Le nuove sanzioni sono disegnate per aver maggior efficacia. Si tratta di un'inversione del meccanismo precedente. Se prima il commercio era consentito per tutte le merci non espressamente vietate, da ieri i trader europei dovranno chiedere ai rispettivi Governi un'autorizzazione prima di finanziare qualunque transazione relativa alle «merci consentite».
Entrando nello specifico il nuovo round impone il divieto a tutti i trasferimenti tra banche europee e società iraniane (viene fatta qualche eccezione per gli aiuti umanitari, gli acquisti di cibo e medicine, previa approvazione) e il congelamento degli asset di 34 aziende legate al regime. La Banca centrale iraniana è stata oggetto di ulteriori misure. Bruxelles ha poi vietato espressamente le vendite di grafite e metalli potenzialmente utili per il programma nucleare o i missili balistici. Infine, sarà vietato anche l'import di gas (l'Ue tuttavia in pratica non ne importa dall'Iran) Un pacchetto che ha ricevuto ieri il plauso della Casa Bianca. «Credo fermamente che ci sia ancora spazio per i negoziati e spero che saremo in grado di compiere progressi molto presto», ha detto il capo della diplomazia europea, Catherine Ashton.
Nonostante la sua ostinazione nel'andare avanti con il programma nucleare, il regime deve fare i conti con un crescente malcontento popolare. L'economia è in ginocchio. L'export di greggio è sceso ai minimi da 23 anni, oggi a stento raggiunge il milione di barili al giorno (mbg). Nel 2011 erano a 2,3 mbg.
Il crollo della valuta locale, il rial (oggi ne servono 35mila per un dollaro, otto mesi fa ne erano necessari 12mila) ha avuto un effetto dirompente sull'inflazione, schizzata sopra al 25 per cento. La disoccupazione continua crescere. Esasperati, a inizio mese gli iraniani sono scesi in strada a protestare.
Eppure, nonostante l'inasprimento delle sanzioni, i rapporti commerciali tra i due nemici - Iran e Stati Uniti - curiosamente crescono. Secondo il Dipartimento americano del commercio, il valore dei beni Usa esportati in Iran nel 2012 ha già raggiunto i 200 milioni di dollari.In tutto il 2011 era stato di 150 milioni. Cosa ha provocato questo aumento? Le vendite di grano. Quel grano che gli Usa esportano in tutto il mondo, e che l'Iran - grande consumatore - cerca di rastrellare. Dovunque può.
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