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Questo articolo è stato pubblicato il 21 ottobre 2012 alle ore 08:47.

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Khamis Gheddafi, figlio minore del defunto rais libico, dato per morto nel 2011, sarebbe stato ferito e catturato vivo ieri a Bani Walid, dove si era rifugiato tra gli ultimi fedelissimi del padre, ma poi sarebbe deceduto per le ferite riportate nella cattura. Lo ha riferito alla tv Al-Arabiya il leader dell'Assemblea nazionale, Mohamed Magarief, dopo che invece fonti combattenti lo avevano dato solo per arrestato.
Khamis Gheddafi, settimo e più giovane figlio del colonnello, era stato a capo della famigerata 32/a Brigata durante la guerra civile dell'anno scorso. La sua morte era stata annunciata e poi ufficialmente confermata a fine agosto 2011. Fonti della brigata Hitin - composta da ex rivoluzionari di Misurata e impegnata in queste ore nell'assalto di Bani Walid (considerata estrema roccaforte dei gheddafiani) - hanno affermato ieri di averlo trovato vivo, di averlo ferito in una sparatoria e di averlo in ultimo catturato. La voce, riportata solo dalla tv panaraba al-Arabiya, è stata più tardi avallata al sito della stessa emittente da Magarief, secondo il quale - peraltro - Khamis alla fine è morto per le ferite riportate. Negli scontri di Bani Walid è stato catturato anche l'ex portavoce di Gheddafi, Ibrahim Moussa. In tarda serata, attraverso un messaggio audio su internet di cui non si conosce l'attendibilità, lo stesso Moussa avrebbe smentito la notizia della sua cattura.
Ma tutto il fronte delle primavere arabe è ancora in fibrillazione. Con l'attentato che ha devastato Piazza Sassine e ucciso il generale dell'intelligence Wissam al Hassan, la guerra civile siriana è diventata ufficialmente anche la nuova crisi del Libano. L'esplosione nel cuore del quartiere cristiano di Beirut ha riportato non solo il Paese dei Cedri ma tutto il mondo arabo a una dura realtà: gli Stati della regione e della sponda Sud, nel pieno della transizione, sono creature fragili, sull'orlo dell'implosione.
Il lento e sanguinoso collasso dello Stato siriano trascina il Medio Oriente verso l'ignoto. A Damasco l'inviato dell'Onu Lakhdar Brahimi ieri tentava con flebili speranze di ottenere dal regime un via libera per negoziare una tregua con un'opposizione dai contorni nebulosi e affollata di jihadisti stranieri. E Damasco sta contagiando da mesi il Libano, diviso in fazioni e governato da un precario sistema confessionale. Persino l'affluente Turchia, indicata come il "modello" di un islam moderato da esportazione, teme adesso il coinvolgimento.
Mezz'ora dopo la morte di Hassan le milizie erano già nelle strade, a Tripoli si sparavano sciiti alauiti e sunniti salafiti: a Nord e a Est, vicino ai confini con la Siria, passano le armi per i ribelli anti-Assad; a Sud gliHezbollah sciiti, alleati di Damasco, tengono i razzi puntati su Israele, tanto per ricordare che qui ogni scontro locale può avere effetti devastanti. E quando si viaggia verso Sud, a cominciare dalla cintura sciita di Beirut, inizia un altro Paese dove gli Hezbollah costruiscono scuole e ospedali. Tutto sotto gli occhi del contingente dell'Unifil che fa il suo lavoro silenzioso, a patto che non urti i nervi sensibili delle fazioni.
Soffre la Tunisia del post Ben Alì dove i disoccupati, al massimo storico, assaltano le caserme e i laici si scontrano con i salafiti ma sono anche ai ferri corti con il partito islamico Ennhada che vuole restare al potere oltre il mandato, in scadenza martedì, della Costituente.
A Beirut, dove è stata indetta dai partiti anti-siriani una "giornata della collera", ci saranno oggi i funerali di Wissam Hassan che verrà sepolto accanto al suo méntore Rafic Hariri, il premier ucciso il 14 febbraio 2005 da un'autobomba. Su richiesta del presidente Suleiman, il primo ministro Nikab Miqati ha ritirato le dimissioni collegando l'uccisione di Hassan all'arresto dell'ex ministro cristiano dell'Informazione Michel Samaha che pianificava attentati per conto di Damasco.
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ULTIMA RESISTENZA
Militare di professione
Khamis Gheddafi, nato nel 1983, era il più giovane fra i sette figli maschi del raìs. Era il comandante della 32ma Brigata corazzata, unità di elite dell'esercito libico, che contava circa 10mila uomini, tra cui molti mercenari stranieri. Khamis e le sue unità speciali avevano fronteggiato l'insurrezione dei ribelli libici sui fronti più caldi, guidando anche la controffensiva dei lealisti, poi fermata dall'intervento della Nato.

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