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Questo articolo è stato pubblicato il 24 ottobre 2012 alle ore 10:10.

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«Preferisco non parlarne». Sembra strano, ma è la frase più ricorrente della campagna elettorale in terra di Sicilia. Qui si vota il 28 Ottobre per eleggere governatore e deputati del parlamento più antico e pagato al mondo. Qui la campagna elettorale, che una volta era una festa - allegre mangiate, piazze gremite, in attesa della vendemmia dei voti - oggi assomiglia ad una quaresima. Facce lunghe, poche iniziative. I giorni che mancano al voto scorrono come grani di un rosario. Ed i principali candidati non vedono l'ora che tutto questo finisca.

Hanno le idee chiare sui grandi temi, dalla lotta alla mafia, alla pastoie della burocrazia. Poi, quando si scende sui temi particolari: un ospedale tagliato, una zona industriale da finanziare, il progetto di un porto, si chiudono in un silenzio imbarazzato. «Preferisco non parlarne» rispondono. La politica siciliana, oggi, è una specie di palude, un Vietnam. Tutti divisi su tutto, e non c'è luogo in tutta l'isola dove ci sia al governo una delle coalizioni che poi gli elettori troveranno nella scheda elettorale. E per i candidati bisogna pensarci due, tre volte, prima di stringere una mano («E' alleato o nemico? E' finto nemico che tanto vota per me o alleato traditore che già sa di votare per l'altro?») o di prendere posizione su un qualsiasi argomento.

Non vede l'ora che finisca tutto questo, Nello Musumeci. I capelli gli stanno diventando bianchi come il pizzetto che lo contraddistingue. Con lui c'è il Pdl, orfano di tutto il centrodestra. «Fidatevi di me, come io mi fido di voi» ripete agli elettori come se insegnasse un Padre nostro. Punta sulla legalità, sulla questione morale, poi quando qualcuno gli fa presente i candidati con troppi se e troppi ma presenti nelle sue liste, glissa: «E' un problema che riguarda i partiti». Berlusconi doveva venire a chiudere la sua campagna elettorale, poi ci ha ripensato. E per Musumeci è stato un gran sospiro di sollievo.

Non vede l'ora che sia lunedì, Rosario Crocetta, prima Sindaco di Gela e comunista, oggi eurodeputato del Pd e pronto a fare la "rivoluzione" con il suo partito e l'Udc. Un primato finora ce l'ha, il peggior abbinamento di colori, quando si è presentato al confronto con gli altri candidati con cravatta arancione e vestito azzurro. «Come fa l'Udc a votare un gay?» è stato il tormentone degli avversari in campagna elettorale. Lui ha promesso: «Se vengo eletto mi asterrò dal fare sesso». «Anche se è un diverso, è bravo» dice di lui il presidente regionale dell'Udc, Giulia Adamo.
Stanco alla meta arriva pure il terzo incomodo di questa campagna elettorale. Gianfranco Miccichè. «Sicilianu sugnu» recita il suo slogan elettorale. Siculo e virile, propone di riaprire le case chiuse. E quando sa di Crocetta e della sua astinenza sessuale cerca di farsi notare, e ha una confidenza da fare anche lui: «Ho fatto uso di droghe pesanti, ma in gioventù».

Stanchissima, infine, arriva l sinistra, ancora ferma a Nanni Moretti: «Continuamo così, facciamoci del male». E questa volta in Sicilia il capolavoro è stato servito, con il candidato presidente Claudio Fava che scopre, un giorno prima dell'inizio della campagna elettorale, di non poter partecipare alla grande corsa, perché non ha spostato in tempo la sua residenza in Sicilia. Il piano B si chiama allora Giovanna Marano, infermiera e dirigente della Fiom in Sicilia (ma cosa c'entra un'infermiera con i metalmeccanici?). La malmessa coalizione di dipietristi e sinistra varia si chiama «Fava presidente», ma in realtà il presidente candidato è dunque Marano. . E porta con se il dramma di un sindacato, la Cgil, spaccato più che mai. Crocetta ha ingaggiato nel suo listino (che servirebbe, in caso di vittoria, ad aumentare i deputati della maggioranza) Mariella Maggio, segretaria siciliana della Cgill. La Marano e la Fiom però stanno da un'altra parte. E la fotografia di una sindacato perso a metà strada è una giornata palermitana in cui in un cinema palermitano Susanna Camusso benedice Maggio e Crocetta, mentre in contemporanea, in un teatro della città, la Fiom si stringe intorno a Marano.

Mancano pochi giorni al voto, e di big se ne vedono pochi. Dopo il ciclone Grillo sono fuggiti tutti dalle piazze. La campagna elettorale si è fatta nei teatri, nei cinema, soprattutto nei bar. Il candidato offre l'aperitivo ma in pubblico non parla. Fa conferenze stampa con i giornalisti, ma evita i comizi. La piazza fa paura. Hanno fatto il giro del mondo le immagini di Miccichè che parlava in una piazza deserta, vicino Caltanissetta, Crocetta è stato contestato pure nella sua Gela. Musumeci avrà fatto decine di chilometri: in ogni città in cui è stato ha preferito la passeggiata per il corso rispetto al comizio.

Chiunque vinca già sa che non avrà la maggioranza dei 90 deputati regionali all'Ars. E' il frutto di una legge elettorale avvelenata, pensata quando la Sicilia era il granaio del centrodestra e Cuffaro e Lombardo vincevano ad occhi chiusi. Chi vince, dovrà mercanteggiare la sopravvivenza giorno dopo giorno.

A proposito, Raffaele Lombardo, il governatore uscente, non c'è, in questa sfida, ma c'è il figliolo. Toti si chiama, il rampollo candidato all'Ars nella lista del Partito dei Siciliani di papà, nel collegio di Catania. Lombardo non c'è, o forse si. In fin dei conti, è stato il suo partito, questa estate a chiedere al Pdl di candidare Nello Musumeci «per ricompattare il centrodestra», salvo poi presentarsi lo stesso con Miccichè. Ed è stato lui, Lombardo, ad incoraggiare ad inizio dell'anno il Pd, quando i democratici erano alleati di governo: «Crocetta potrebbe essere un ottimo candidato». Sembra quasi che ci sia la sua regia dietro tutta questa campagna elettorale. E' forse per questo i nostri sono così malinconici: sanno di recitare una parte. Chiunque vinca domenica sa che da lunedì in poi, per governare, avrà bisogno ancora degli uomini, dei numeri, dei consigli (molto interessati) di Raffaele Lombardo.

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