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Questo articolo è stato pubblicato il 24 ottobre 2012 alle ore 21:16.

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Meryem CherkaouiMeryem Cherkaoui

Ogni mattina, davanti alla porta del ristorante Mrizi i Zanave – letteralmente "l'ombra delle fate", nome preso in prestito da un'opera del poeta francescano Gjergj Fishta – si forma un piccolo capannello di persone. Sono i fornitori dello chef Altin Prenga. Portano con sé uova, latte di capra, cipolle e patate: il meglio che possa offrire la comunità agricola di Lezhë, circa 30mila abitanti, a Nordovest dell'Albania.

Il percorso professionale di Prenga fa tappa in Italia, come molti della sua generazione, dove arriva nemmeno ventenne in cerca di una buona stella. Trova quella Michelin di un ristorante trentino in cui lavora come lavapiatti. Qui osserva avidamente, impara la tecnica, foraggia passione e creatività. E quando sceglie di tornare in patria, dopo dodici anni, mette tutto al servizio della tradizione enogastronomica del suo paese. «Che non significa cucinare semplice», precisa lui. Però la missione è dura, dopo gli anni del regime e delle privazioni: «I prodotti locali vengono snobbati, le zone rurali abbandonate, si mangiano banane invece che melograni e il cibo sugli scaffali, per il solo fatto di essere importato, è considerato più buono e attira come il canto delle sirene. Bisogna invertire questa tendenza».

È il volto peggiore della globalizzazione alimentare. Ecco perché all'edizione 2012 del Salone del Gusto Prenga e i suoi colleghi da ogni angolo del pianeta saranno protagonisti assoluti ai fornelli della cucina di Terra Madre. Un mappamondo di sapori per promuovere il consumo consapevole, la cultura del territorio, le tradizioni locali: dal barbecue australiano alla faraona al pepe selvatico del Madagascar. All'Osteria dell'Alleanza – rete solidale che riunisce 315 osterie e ristoranti in tutta Italia – 29 cuochi a rotazione valorizzeranno i Presìdi Slow Food italiani nel corso di cinque giorni.

Mentre i ragionamenti sull'alta cucina contemporanea punteranno i riflettori sull'asse transandino: Gastón Acurio (Perù), Carlos Garcia (Venezuela), Enrique Olvera (Messico) e Roberta Sudbrack (Brasile) faranno squadra con il campione modenese Massimo Bottura in una delle cene-evento del Salone. Dalle foreste amazzoniche, sulla strada dell'identità, sembra breve il passo ai boschi del nord della Svezia, dove si nasconde Magnus Nilsson e il suo rektun food, cibo vero. Ai tavoli (pochissimi: solo 12 i coperti) del Fäviken Magasinet di Jrpen sono la natura e le stagioni a dettare il menù, saldamente legato al territorio dello Jämtland. Tutti i prodotti – dalla selvaggina alle bacche ai licheni – provengono dalla sconfinata tenuta e dall'orto del ristorante. Zero tecnologia in cucina: la sapienza ancestrale dei contadini viene replicata in un'"archeotecnica" al servizio della materia prima, senza mai diventare folklore. «Noi rispettiamo i nostri ingredienti per ciò che sono – conferma questo giovane chef con la chioma da vichingo e lo sguardo da folletto - nella loro forma e origine. Seguiamo la produzione di ognuno, dal seme al piatto. Non seguiamo le mode».

Rigore nordico oppure profumi mediterranei: quelli di Meryem Cherkaoui, nata a Rabat nel 1977. Si trasferisce adolescente in Francia per studiare l'haute cuisine. E punta più in alto che può: formazione alla corte di Paul Bocuse, esperienze al Majestic di Cannes e al Crillon di Parigi. Poi il ritorno a Casablanca, per aprire nel 2003 La Maison du Gourmet, perfetto mix di avanguardia e tradizione, tra basi classiche francesi e spezie marocchine. Glocalismo virtuoso, contaminazioni felici. A volte con un alto valore extraculinario: è il caso degli hummus e makluba cucinati a sei mani dallo chef arabo-israeliano Husam Abas del ristorante El Babour di Umm el Fahem, vicino Nazareth, con le cuoche palestinesi Fatima Kadoumi e Falak Nasser di Nablus. Quando il cibo si fa (anche) mediatore di pace.

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