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Questo articolo è stato pubblicato il 25 ottobre 2012 alle ore 08:10.

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ROMA
Accordo in extremis al Senato per la riforma della diffamazione. Ieri, in Aula, non si è andati oltre la discussione generale e una affrettata presentazione dei circa 140 emendamenti, rinviando poi la seduta ad oggi. L'intesa nella maggioranza, dopo un dibattito in cui sono emerse soprattutto le critiche trasversali e gli inviti alla prudenza per le ricadute sul sistema dell'informazione, è arrivata solo in tarda serata. Confermata l'abolizione della pena detentiva per i giornalisti (unico punto fermo di tutti gli interventi in Aula), previsto l'alleggerimento delle multe, considerate troppo punitive (oscilleranno tra i 5mila e i 50mila euro, ben al di sotto del tetto di 100mila euro deciso in commissione). Tra i punti dell'accordo bipartisan - alla riunione dei "tecnici", oltre ai capigruppo, c'erano anche Casson e Della Monica (Pd), Caliendo e Mugnai (Pdl), e Li Gotti per l'Idv - anche l'obbligo della rettifica online ma solo per le testate giornalistiche e gli articoli pubblicati; nessun obbligo per i commenti dei lettori.
Sui giornali, la rettifica dovrà invece avere lo stesso spazio dell'articolo diffamatorio, oltre ad uscire sulla stessa pagina. Più lieve anche l'interdizione dalla professione giornalistica come pena accessoria, non più obbligatoria e più modulata, mentre esce di scena la rivalsa sul fondo dell'editoria, troppo penalizzante per le piccole testate; gli editori non dovranno più rispondere per il reato di diffamazione. La difficile "quadratura" del Ddl, che il Senato dovrebbe approvare in fretta per dare la parola alla Camera già lunedì, ha sicuramente scontato il confronto affrettato.
A pesare, in una giornata in cui da più parti si sono ribadite le «ragioni mediatiche» della riforma (evitare il carcere per Alessandro Sallusti, il direttore del "Giornale" su cui incombono 14 mesi di detenzione per una condanna per diffamazione), anche le parole scelte dal presidente degli editori, Giulio Anselmi, per bocciare senza appello il testo uscito dalla commissione Giustizia: «norme assurde e pericolose», in grado di «condizionare la sopravvivenza di molti giornali», e che nascondono «un assoluto disprezzo per la libertà di stampa». Da salvare, per il presidente della Fieg, «elementi di buon senso» come l'abolizione del carcere, «pena evidentemente sproporzionata», mentre preoccupano altri aspetti «assurdi e pericolosi» sul fronte delle sanzioni economiche e delle modalità di rettifica. Due elementi «di per sé giusti se commisurati all'entità del danno e alla tutela dell'onorabilità delle persone offese», ma che nei lavori del Senato «appaiono falsati da una volontà vessatoria nei confronti dell'informazione». A farsi sentire, ieri, anche il fronte sindacale: il segretario Fnsi, Franco Siddi, ha censurato ogni possibile "scambio" tra cancellazione del carcere dalle pene per i reati a mezzo stampa – «cosa giusta e doverosa» – e l'introduzione di "norme bavaglio" contro la professione giornalistica.
Quella di oggi potrebbe dunque essere la giornata decisiva, dopo una serata di limature il cui senso è stato anticipato ieri sera dalla capogruppo Pd, Anna Finocchiaro: definire «un testo equilibrato», che «contemperi la libertà di stampa con il diritto delle persone all'onore e alla dignità». In caso di ulteriore impasse, potrebbero tornare utili le "strade alternative" suggerite da Paolo Gentiloni (Pd), che ha proposto l'inserimento alla Camera di una norma urgente per impedire la carcerazione del direttore del Giornale in uno dei decreti in conversione. O l'approvazione di una mozione perché il Governo avvii la procedura per la grazia a Sallusti, avanzata da Li Gotti (Idv) e Castelli (Ln).
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