Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 26 ottobre 2012 alle ore 01:49.
Dal 16 al 23 sono stato in Afghanistan in un tour pagato dallo stato maggiore della Difesa
Un gruppo di tende circondate da mura e filo spinato in mezzo al deserto, le basi avanzate italiane in Afghanistan non sono molto più di questo. Raggiungibili solo in elicottero, posizionate nelle zone più calde, sono il vero e proprio fronte di questa guerra. Sono chiamate con l'acronimo americano Fob, forward operation base, ma si tratta di veri e proprio avamposti immersi nel nulla dove soffia incessante il vento che solleva una polvere che impedisce di respirare. L'Italia al momento ne ha quattro, Farah, Bakwa, Shindand e Bala Baluk (dove il free lance è stato per 4 giorni, ndr), tutte nei dintorni di Herat e ospitano tra i 100 e i 200 militari. Fino a settembre erano sei ma ora ne sono state cedute due all'esercito afgano perché il disimpegno militare parte proprio da qui e saranno le prossime a essere lasciate in vista del ritiro del 2014.
Le condizioni di vita sono estreme, ogni volta che si esce, rigorosamente su mezzi blindati, c'è il rischio di esplodere su una mina fabbricata artigianalmente o, come è accaduto oggi, di essere coinvolti in uno scontro a fuoco. Ma anche all'interno la situazione non è certo tranquilla perché capita spesso che le basi siano prese di mira da razzi lanciati dall'esterno, hanno poca mira ma rappresentano una minaccia costante. L'ultimo missile, che per fortuna non è esploso, è arrivato poco più di un mese fa bucando una torretta di sicurezza e atterrando vicino a una tenda senza provocare feriti.
La struttura. Scendendo dall'elicottero alla Fob di Bala Baluk, a pochi chilometri da Bakwa, la prima cosa che accoglie il visitatore sono i resti di alcuni Lince, i mezzi blindati su cui si muovono i militari, distrutti dalle mine. Intorno alla base due fila di mura sormontate da filo spinato e torrette di guardia che scrutano il deserto. Dopo aver superato i controlli si accede alla base vera e propria, un gruppo di tende e prefabbricati dove per sei mesi si svolge la vita di un centinaio di uomini e donne.
Gli alloggi dei soldati sono tende da sei persone dotate di condizionatore perché nel deserto afgano di giorno il sole brucia e di notte le temperature scendono spesso sotto zero. Fuori dalla tenda un piccolo spazio comune fatto con assi di legno, frutto di un fai da te che viene tramandato ad ogni cambio di contingente. Tutti quelli che sono passati di qui hanno apportato alcune piccole migliorie, un mobiletto o una gettata di schiuma isolante per creare uno spazio comune dove cercare un minimo di svago dalla tensione e la lontananza da casa. Alle pareti le firme di chi ha vissuto qui, spesso a siglare un conto alla rovescia per la fine della missione o, anche, a ricordare chi a fine missione non c'è mai arrivato. L'unica differenza nella tenda delle ragazze è solo un po' più ordine e profumo, anche qui fucili, mimetiche, biancheria stesa e una bandiera italiana appesa al soffitto.
©RIPRODUZIONE RISERVATA