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Questo articolo è stato pubblicato il 26 ottobre 2012 alle ore 11:09.

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Si parte dal caso "Fun Time", la società che prometteva di portare sulle rive del Ceresio clienti facoltosi il cui accordo non era stato segnalato alle autorità competenti, infrangendo così la legge. La diatriba si chiuse due anni dopo, nel 2005, con una multa all'allora presidente del Consiglio di Amministrazione Rocco Olgiati e al direttore del Casinò Marco Baranzelli: ad entrambi 50mila franchi di multa (41mila euro circa) confermata dal Tribunale federale svizzero. Poi il caso portato alla luce dall'Associazione italiana SOS Racket e Usura di Frediano Manzi che denunciava la presenza, anche a Lugano, di usurai.

Episodi confermati anche da alcuni dipendenti della Casa da Gioco che sostenevano di avere avvertito la direzione senza però che seguissero azioni concrete, fino a quando la magistratura ticinese non ha aperto un fascicolo. Le relative inchieste, nel 2004, portarono a una pista italiana di strozzinaggio e riciclaggio di denaro. Nel 2011, con una serie di lettere anonime, sono state presentate ai vertici del Casinò delle accuse relative a giri di cocaina, ricatti e prostituzione. Istantanea la replica di Hubertus Thonhauser, amministratore delegato del Casinò e di Erasmo Pelli, presidente del CdA e vicesindaco della Città di Lugano, ovvero l'uomo di collegamento tra la partecipazione pubblica e quella privata del capitale azionario della casa da gioco. Secondo i vertici si trattava solo di un tentativo di gettare fango sul Casinò.

Parallelamente è stata aperta un'inchiesta riguardante vincite sospette che, a febbraio del 2012, ha portato all'arresto del direttore operativo del settore giochi e due croupier. Una storia già vissuta sette anni prima e che costò le dimissioni del primo direttore generale del Casinò, Bert Westerman. In entrambi i casi i vertici del Casinò chiesero il massimo riserbo agli inquirenti; in entrambi i casi le notizie balzarono sulle prime pagine dei giornali locali e non, indispettendo non poco l'ambiente.
Con una certa regolarità si parla di licenziamenti selvaggi che nuocciono anche al giro d'affari e che, dopo intense trattative sindacali, si chiudono con buone uscite generose.

Nelle ultime ore un altro scandalo con relativo scontro politico. Nello stabile in cui trova posto il Casinò c'è il Club Nyx, ritrovo cittadino particolarmente amato dai giovani il quale, su ordine della magistratura ticinese, è stato chiuso e il titolare, Hector Moron Bravo è stato arrestato. Con lui le manette sono scattate anche ai polsi di Paolo Guarnieri, azionista e direttore marketing del Casinò sul quale la direzione puntava molto definendolo uomo di elevate capacità e competenza.
Le accuse sono pesanti: riciclaggio, truffa e sequestro di persona. Da qui il recente attacco dei democentristi ticinesi che rimproverano al consiglio di amministrazione scarse capacità e sostengono che il Municipio, riferendosi ovviamente alla liaison con il Casinò, abbia causato danni inestimabili all'immagine di Lugano addebitando la situazione ad un conflitto di interessi.

Il messaggio, anche se in modo implicito, contiene una frecciata nei confronti del Partito Liberale Radicale (PLR) di cui fanno parte sia il sindaco di Lugano Giorgio Giudici sia il suo vice, Erasmo Pelli. Secondo Marco Chiesa, consigliere comunale in forze all'UDC, la Città non si distacca dal Casinò per non ammettere la propria sconfitta nella gestione. È dal 2008 che vi sono pressioni politiche affinché Lugano ritiri la propria partecipazione nella casa da gioco lasciando l'intero pacchetto in mano ai privati ma, nonostante le richieste, nulla è stato fatto. «A casa tutto il CdA. Al colore della tessera di partito», continua Marco Chiesa «vanno privilegiate le competenze».

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