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Questo articolo è stato pubblicato il 05 novembre 2012 alle ore 16:02.

Quando nel 1836, fra le montagne di Valdagno, in provincia di Vicenza, sotto il regno degli Asburgo, Luigi Marzotto fonda il Lanificio Luigi Marzotto & Figli, mai può immaginare che un giorno, un secolo e mezzo più tardi, il gruppo avrebbe controllato uno dei marchi della moda made in Italy più prestigiosi a livello internazionale, quella maison Valentino che, dagli anni '60, ha vestito le donne più eleganti del pianeta, da Jackie Kennedy in giù, ma in mezzo a vicissitudini societarie altalenanti.
Per anni, infatti, in particolare dai primi del Novecento, quando le redini sono assunte da Gaetano Marzotto, il core business resta l'attività tessile, sviluppata di pari passo con le case, le scuole e i servizi sociali per gli operai e i tecnici.

È Pietro Marzotto, nel '72, a dare la svolta al gruppo tessile: dal 1985 parte infatti la diversificazione nel tessile, con l'acquisizione di Bassetti, con il Lanificio e Canapificio Nazionale, Lanerossi, Guabello, coprendo in pratica tutti i segmenti della produzione fino all'alto di gamma. Nel '91 si parte con la confezione: la tedesca Hugo Boss, tra i leader nell'abbigliamento maschile, è tra i principali clienti dei tessuti del gruppo e macina profitti importanti.

La Valentino arriva nel portafoglio del gruppo Marzotto nel 2002: a cedere è la HdP di Maurizio Romiti, che l'aveva rilevata da Valentino Garavani e dal socio Giancarlo Giammetti per 540 miliardi di vecchie lire, ma non era mai riuscita a far decollare veramente il business.

Nel luglio 2005 la famiglia Marzotto decide addirittura di spingere sulla quotazione in Borsa di Valentino Fashion Group, facendo leva sul nome dello stilista, sotto il quale vengono raggruppati anche Hugo Boss e altri marchi, mentre vengono scisse le attività nel tessile: dopo due anni dal listing, la capitalizzazione viaggia sui 2,5 miliardi di euro e nel 2006 il titolo crsce del 50%, sovraperformando sia l'indice Mibtel sia quello del lusso.

A posteriori, l'uscita del film "The Last Emperor" di Matt Tyrnauer marca in modo netto le difficoltà di rapporto tra la famiglia Marzotto da una parte, soprattutto del presidente della maison, Matteo Marzotto, e Valentino e Giammetti dall'altra, che del giovane imprenditore dice a un certo punto "non conta niente". La parte finale della storia professionale di Valentino, che si ritira nel settembre 2007, "sembrava una contrapposizione fra il grande stilista e il giovane rampante, ma la verità è ben diversa", ribatte Matteo Marzotto, precisando che nel 2002 il fatturato della maison era di 128 milioni di euro con una perdita di 40 milioni, mentre nel 2007 i ricavi erano saliti a 250 milioni, con un utile del 10%.

Soprattutto, fanno rilevare gli azionisti di Valdagno, il lavoro della Marzotto ha fatto crescere enormemente il valore del brand, visto che la vendita al fondo di private equity Permira avviene a una cifra 5 volte maggiore di quella pagata dai Marzotto. Permira aveva infatti versato complessivamente 3,2 miliardi di euro (2,6 milioni per Valentino Fashion Group e il 51% di Hugo Boss più 600 milioni per un'ulteriore quota del 22% dell'azienda tedesca), pagando un multiplo di 17,8 volte l'Ebitda, battuto nella storia del lusso soltanto da quello di 28 garantito dal numero uno al mondo nel lusso, la Lvmh di Bernard Arnault, per rilevare la romana Bulgari.

E ora? "Oggi il gruppo Marzotto è un protagonista di rilevanza mondiale nell'industria tessile e ha nell'innovazione la propria missione strategica". La moda se l'è scordata, anche se è stata una gallina dalle uova d'oro.

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