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Questo articolo è stato pubblicato il 06 novembre 2012 alle ore 18:25.

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In caso di condanna per diffamazione, la prima volta il giornalista non incorrerà in misure interdittive, a partire dalla seconda condanna, per la recidiva semplice, sarà facoltà del giudice applicare un'interdizione dalla professione da uno a 6 mesi, mentre alla terza condanna, per la recidiva reiterata, il magistrato sarà obbligato a prevedere l'interdizione da uno a dodici mesi. È quanto ha deciso, quasi all'unanimità, la commissione Giustizia del Senato, approvando oggi una riformulazione dell'emendamento Balboni-Mugnai (Pdl) sulla pena accessoria dell'interdizione dalla professione a seguito di condanna per diffamazione.

Un "nodo", questo, che rischiava di bloccare ancora una volta il percorso del ddl diffamazione, da domani di nuovo all'attenzione dell'Aula di Palazzo Madama. Contro l'emendamento hanno votato i senatori del Pd Felice Casson e Vincenzo Vita ed il Radicale eletto nel fila del Pd Marco Perduca. Si é invece astenuto l'ex procuratore Gerardo D'Ambrosio, anche lui del Pd. Dopo l'approvazione degli emendamenti l'aula si dovrà pronunciare con il voto segreto sul complesso dell'articolo 1.

Per la capogruppo Pd in commissione Giustizia al Senato e relatrice Silvia Della Monica, si «è trattato di ridurre il danno», approvando «una misura meno restrittiva nei confronti dei giornalisti, anche se io avevo chiesto di ritornare al testo votato all'unanimità dalla Camera nel 2004 e con il quale si introduceva l'interdizione solo di fronte alla recidiva, trasformando la pena accessoria in facoltativa». Il testo, arrivato in commissione Giustizia, prima di quest'ultima riformulazione, prevedeva l'interdizione automatica anche in caso di prima condanna per diffamazione.

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