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Questo articolo è stato pubblicato il 08 novembre 2012 alle ore 09:09.

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ROMA - Forse 18-20mila posti-letto in meno per i ricoveri ordinari, almeno un migliaia di reparti doppione o poco (e male) impiegati che saltano, altrettanti primariati e poltrone di baroni della medicina che tremano. E piccoli ospedaletti in bilico. È pronta la grande dieta per gli ospedali italiani, sia pubblici che privati. Dopo la spending review di questa estate, arrivano le regole applicative che il ministro della Salute, Renato Balduzzi, ha appena inviato alle Regioni. Che dovrebbero tradurle in propri provvedimenti entro fine anno.

Ma già i governatori sono pronti a frenare. Non accettano ultimatum – ovvero che le misure siano ordinative, non indicative – lamentando un'invasione di campo e il mancato coinvolgimento nella messa a punto del documento. Insomma, sarà un nuovo testa a testa. Anche perché il regolamento predisposto dal ministro della Salute insieme all'Economia (per il testo si veda www.24oresanita.com) interviene pesantemente per riorganizzare dopo decenni e dare un senso compiuto a livello nazionale alla rete ospedaliera nazionale. Con l'obiettivo dichiarato di garantire livelli di assistenza omogenei in tutta Italia sia per l'adeguatezza delle strutture, sia per le risorse umane impiegate in rapporto ai pazienti "serviti" e al livello di complessità delle singole strutture e dell'interazione con la rete di assistenza sul territorio.

Un intervento poderoso e necessario, anche se ciascuna Regione potrà lamentare le proprie specificità e qualcuna rivendicare gli interventi già attuati. Le ricadute pratiche in termini di tagli di posti letto, di reparti, primariati e anche di ospedaletti, è così legata alle scelte locali. Dove sarà inevitabile l'assalto a difesa di ospedali, discipline e poltrone. Quanto ai risparmi possibili dell'operazione, la spending review (legge 135/2012) non li cifra, ma Balduzzi ha detto ripetutamente che per le Regioni ci saranno sicuramente minori spese. Tutto sta a vedere i tempi di realizzazione e quanto, come e se, il sistema terrà alle necessità di cura, anche per le possibili ricadute sulle liste d'attesa, aspettando che il territorio si attrezzi davvero alla deospedalizzazione.

«Definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi dell'assistenza ospedaliera»: già dal titolo il regolamento mette le cose in chiaro. Con tre carte decisive da giocare nell'operazione di sfoltimento: i volumi minimi di prestazioni effettuate, le soglie di rischio degli outcome di cura, il bacino d'utenza della popolazione. Con un jolly per le Regioni che ospitano la mobilità dei pazienti in cerca di cure fuori casa.
Nell'ambito dell'intera valutazione saranno così costruiti gli standard delle prestazioni. Gli ospedali vengono distinti in tre classi: di base con un bacino di 80-150mila abitanti, con pronto soccorso e un numero essenziale di specialità; di primo livello, con 150-300mila abitanti, con dipartimenti di emergenza-urgenza con numerose specialità e tecnologie avanzate; di secondo livello, tra 600mila e 1 milione di abitanti, prevalentemente ospedali-azienda, Irccs, ospedali di grandi dimensioni non scorporati dalla asl. Gli standard avranno valore per tutte le discipline, che saranno puntigliosamente verificate.

Dalla verifica arriveranno i tagli. E non mancheranno sorprese e interventi a volte troppo a lungo rinviati: che dire delle 15 cardie del Policlinico Umberto I? E, sempre all'Umberto I, che dire delle 20 diverse chirurgie che in un anno hanno eseguito in tutto 400 interventi sulla cistifellea in laparoscopia, ma solo una ne ha fatti più di settanta mentre a Parma lo stesso risultato è stato raggiunto in soli tre reparti? Quanto alla cardiochirurgie, anche la Lombardia non scherza: ne ha 22, secondo la società di cardiochirurugia ne basterebbero dieci.
Nella ristrutturazione ci sarà spazio per la rete dell'emergenza-urgenza, per la chirurgia ambulatoriale, i centri-traumi, le reti per l'ictus. E anche le cliniche accreditate col Ssn dovranno partecipare: quelle considerate di «integrazione» alla rete ospedaliera pubblica manterranno l'accreditamento solo se hanno più di 80 posti-letto per acuti.

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