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Questo articolo è stato pubblicato il 09 novembre 2012 alle ore 06:38.

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Ci sono corsi e ricorsi nella tragedia siriana che rimandano ai tempi della fine della guerra fredda. Bashar Assad ha appena rilasciato un'intervista alla rete "Russia Today" nella quale respinge l'idea di un salvacondotto per l'esilio così come ipotizzato dal premier britannico David Cameron durante la sua visita in Giordania. Un'idea non nuova, che forse ha resuscitato per incoraggiare la frammentata opposizione siriana a raggiungere in queste ore un accordo nel pletorico vertice di Doha.
«Non sono un burattino, voglio vivere e morire in Siria, l'ultimo bastione del secolarismo nella regione», ha dichiarato Assad. Un intervento straniero, ha avvertito, causerebbe un «effetto domino dall'Atlantico al Pacifico».
Per una curiosa ma forse non così casuale coincidenza l'intervistatrice di Assad è Sophie Shevardnadze, ex producer del network americano Abc, protagonista della scena mondana moscovita e soprattutto nipote di Eduard Shevardnadze che prima di diventare presidente georgiano fu ministro degli Esteri di Mikhail Gorbaciov ed esponente della cosiddetta "Dottrina Sinatra" che consentiva ai Paesi dell'Est di scegliere liberamente (My Way, a modo mio, come cantava il celeberrimo Frank) la propria strada. Era la prima breccia nella cortina di ferro che aprì alla fine dell'Impero Rosso.
Ma Shervadnadze, che si faceva accompagnare da Sophie ai vertici con il segretario di Stato James Baker, fu anche l'emissario inviato da Gorbaciov a Damasco per spiegare ad Hafez, il padre di Bashar, che l'Urss non avrebbe più appoggiato i piani per ottenere la "parità strategica" con Israele per la riconquista delle alture del Golan perdute nel '67. Fu un duro colpo per la Siria baathista, compensato dal fatto che comunque la Russia è rimasta - insieme all'Iran - il grande protettore del regime.
Adesso la situazione si sta complicando, non solo per Bashar, sempre più sotto assedio anche nella capitale, ma pure per Mosca, per l'Occidente e gli Stati Uniti dell'Obama Secondo. Lo stesso Iran sotto la pressione delle sanzioni per il nucleare e gli alleati Hezbollah libanesi hanno spazi di manovra più ristretti: Teheran ha appena lanciato la "guerra santa economica" per bloccare l'import di 2mila prodotti, dallo smalto per le unghie ai pc portatili. La guerra civile in Siria appesantita dall'embargo sta diventando per l'Iran, che aspira a negoziare sul nucleare direttamente con Washington, sempre più costosa sotto il profilo politico ed economico e acuisce tra gli sciiti la pericolosa sensazione di un assedio.
La Siria può rappresentare la tempesta perfetta per un nuovo conflitto mediorientale allargato, soprattutto se la Nato accetterà la richiesta della Turchia di schierare i Patriot ai suoi confini e Cameron otterrà via libera da Obama per armare i ribelli. Nessuno vuole la guerra, né a Est né a Ovest, lo ha detto anche il presidente turco Abdullah Gul, ma la resistenza del regime alauita appare senza alternative e ieri Assad ha sbarrato un'altra via di fuga. Difficilmente però il dramma siriano resterà una tragedia a porte chiuse.
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