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Questo articolo è stato pubblicato il 09 novembre 2012 alle ore 23:11.

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Difficile prevedere se le dimissioni da direttore della Cia rappresenteranno davvero la fine della carriera del generale David Petraus , l'uomo che regalò a George W. Bush la vittoria militare in Iraq e soccorse Barack Obama alle prese con il ginepraio afghano. Eppure nella sua carriera Petraeus non ha conosciuto solo successi. Nel 2003, da generale di divisione, guidò in Iraq la 101a divisione aeromobile incaricata di presidiare il settore caldo di Mosul distinguendosi per un approccio attento alle necessità della popolazione sunnita in gran parte fedele a Saddam Hussein. Meriti che l'anno successivo gli valsero l'incarico di coordinare la ricostituzione dell'esercito di Baghdad, compito nel quale non brillò come dimostrarono i primi disastrosi impieghi dei reparti iracheni nelle operazioni contro i ribelli a Fallujah.

L'anno successivo, al comando dell' U.S. Army Combined Arms Center di Fort Leavenworth, Petreus rilanciò alla grande la sua carriera elaborando un nuovo manuale per le operazioni di contro-insurrezione. La pubblicazione, nota come FM-24, riprendeva strategia e tattiche adottate con successo dai britannici in Borneo e dai francesi in Algeria negli anni '60 adattandole al contesto iracheno. Esattamente quello di cui aveva bisogno l'Amministrazione Bush alla ricerca di una vittoria militare che consentisse il progressivo disimpegno dall'Iraq.

Nominato comandante a Baghdad nel gennaio 2007, Petraeus ottenne dalla Casa Bianca 30 mila soldati di rinforzo per potenziare le operazioni di contrasto dei ribelli con una serie di offensive che colsero il loro maggiore successo nella decisione delle tribù sunnite di voltare le spalle alle milizie di al-Qaeda e di aderire al processo politico del nuovo Iraq. La vittoria a Baghdad proiettò Petraeus alla testa del Central Command, il comando che gestiva le operazioni in Iraq, Medio Oriente e Afghanistan.

Nel 2010 venne nuovamente chiamato a togliere le castagne dal fuoco al presidente, questa volta il democratico Obama, alle prese con le dimissioni forzate del generale Stanley McChristal, costretto a lasciare il comando delle forze alleate in Afghanistan in seguito a dichiarazioni esplosive contro l'Amministrazione rilasciate al magazine Rolling Stone.

Accettando di assumere il comando a Kabul, Petraeus puntò a ripetere il successo iracheno applicando alla guerra contro i talebani la sua dottrina anti-insurrezionale, ma questa volta dalla Casa Bianca non ottenne quella "carta bianca" che gli aveva invece concesso Bush. Obama ci mise oltre tre mesi a concedere i 33 mila rinforzi richiesti da Petraeus per il "surge afghano" e quando finalmente li annunciò lo fece dichiarando allo stesso tempo che dall'anno seguente sarebbe iniziato il ritiro degli americani da Kabul.

Con la schiettezza che lo avevo reso molto popolare tra i suoi uomini e tra i reporter, Petraeus non risparmiò le critiche al presidente pur esprimendole con toni pacati e argomentazioni circostanziate al punto che cominciarono a circolare indiscrezioni di una sua probabile candidatura nel Partito Repubblicano per le elezioni presidenziali di quest'anno.

Quando Obama lo nominò direttore della Cia, nell'aprile dell'anno scorso, qualcuno ipotizzò che lo avesse fatto per sottrarre all'agone politico un pericoloso avversario anche se, sul piano operativo, Petreus era l'uomo ideale per sviluppare quell'integrazione tra forze speciali e intelligence che è alla base della guerra segreta condotta in tutto il mondo contro al-Qaeda e i gruppi jihadisti.

L'attacco degli estremisti islamici al consolato di Bengasi, l'11 settembre scorso (nel quale vennero uccisi 4 americani tra i quali l'ambasciatore in Libia Christopher Stevens) rappresentò un pesante contraccolpo per Petraeus. Mentre sui media statunitensi fioccavano inchieste e indiscrezioni che evidenziavano gli errori di Obama nella gestione di quell'evento il generale evitò accuratamente l'esposizione in pubblico.

Forse anche per evitare di alimentare il rimpallo di responsabilità, aspro anche se sotto traccia, tra il Dipartimento di Stato e la Cia. Due settimane or sono Petraeus si trovava al Cairo, probabilmente per ottenere informazioni e forse l'estradizione di alcuni estremisti coinvolti nell'assalto al Consolato di Bengasi.

Le sue dimissioni suscitano non pochi dubbi e perplessità. Volendo accettare le motivazioni presentate da Petraeus va rilevato che la sua relazione extra-coniugale non era state resa pubblica ma anche se non era scoppiato uno scandalo non si può escludere che sarebbe rimasta segreta per sempre. Considerando il carattere deciso del militare può darsi che Petraeus non avesse condiviso la decisione di Obama di rinunciare a un'azione punitiva contro i jihadisti libici mentre tra le ragioni personali che possono aver indotto Petreus a lasciare potrebbero esserci anche motivi di salute poiché già quando era a Kabul giravano voci che combattesse contro un tumore.

Infine, in un'ottica politica, non si può escludere che Petraeus, come ha fatto anche Hillary Clinton, abbia lasciato l'incarico istituzionale per avere le mani libere per prepararsi a nuove sfide. Forse, tra quattro anni, come candidato repubblicano alla Casa Bianca. Una nuova battaglia che potrebbe opporlo proprio a Hillary Clinton.

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