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Questo articolo è stato pubblicato il 09 novembre 2012 alle ore 06:38.

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I gasdotti di tutte le Russie brillano sull'enorme tabellone luminoso della sala di controllo di Gazprom, è qui che si comandano i flussi che attraversano la Federazione e partono per l'estero. È da qui che Boris Posyagin, responsabile del centro, apre o chiude i rubinetti nella grande rete della fiamma azzurra: il «sistema della sicurezza energetica europea», così la chiamano nel quartier generale del colosso russo.

Presto, si augurano i vertici del monopolio, il tabellone si arricchirà di un'altra catena di lucine, quelle di South Stream.
Il mercato mondiale del gas si sta arricchendo di nuove fonti, il gas estratto dalle rocce e il gas liquido; le analisi sul futuro della domanda europea seguono direzioni diverse, e non poche prevedono un calo; l'Unione europea mette in discussione il ruolo dominante della Russia, e si sforza di diversificare le rotte e i fornitori. Eppure Gazprom ha fretta; Vladimir Putin ha fretta.
Prima che entri in vigore - nel marzo prossimo - il Terzo pacchetto che ridisegnerà il mercato europeo dell'energia, e prima che progetti rivali facciano troppi passi avanti, i russi stringono i tempi per South Stream. Scrollano i dubbi sull'opportunità di un progetto molto costoso, perché lontano dai giacimenti siberiani e per le sfide che dovrà affrontare, a 2mila metri di profondità sotto il Mar Nero; assicurano che - malgrado il via libera da Bruxelles debba ancora arrivare - il gasdotto non violerà le regole europee anti-monopolio. E danno così per South Stream un luogo e una data di nascita: il 7 dicembre, sulla costa russa del Mar Nero ad Anapa (regione di Krasnodar), là dove prenderà il largo il tratto offshore del gasdotto. «È deciso, partiamo con la costruzione», annuncia Leonid Chugunov, responsabile per la gestione del progetto. Un costo previsto di 16 miliardi di euro (10 per la parte sottomarina e 6 per quella terrestre), una capacità massima di 63 miliardi di metri cubi all'anno, a partire dal 2015.

La "prima pietra", in realtà, riguarda una stazione di compressione, non ancora il mare. Non ancora il tratto offshore vero e proprio di South Stream che è quello che riguarda Eni, parte di un consorzio in cui, accanto a Gazprom che ne ha mantenuto la maggioranza, sono entrati la francese Edf e i tedeschi di Wintershall. Un progetto unico, sottolinea Chugunov, per il quale è determinante l'esperienza degli specialisti italiani che con i russi già hanno realizzato un altro gasdotto, sotto il Mar Nero, Blue Stream. Entro il 14 novembre i vertici di Gazprom contano di concludere le trattative con i partner sulla copertura finanziaria dell'investimento, la settimana prossima li attendono a Mosca e tra loro anche Paolo Scaroni, amministratore delegato di Eni.
Attraversato il mare, South Stream toccherà terra in Bulgaria: anche qui la strada non è ancora del tutto spianata. Soprattutto, dalle mappe del progetto è scomparsa la biforcazione che ipotizzava un doppio tragitto per il gasdotto dell'Europa del Sud, un secondo ramo che dalla Bulgaria avrebbe attraversato la Grecia e l'Adriatico, per approdare in Puglia. Ipotesi abbandonata. «Abbiamo fatto i nostri conti - dice Chugunov - e abbiamo concluso che l'Italia non avrebbe acquistato volumi tali da rendere il gasdotto redditizio economicamente. Il mercato dell'Italia meridionale segue altri progetti, altri partner. Noi portiamo i nostri gasdotti dove abbiamo clienti».

Anche la domanda greca, in calo, non è parsa sufficiente. Resta la via dei Balcani. Dalla Bulgaria South Stream passerà in Serbia, Ungheria e Slovenia, per sfociare verso Tarvisio e percorrere - sono dati di Gazprom - 11 chilometri in territorio italiano. Da qui ai mercati europei, completando lo schema che nell'Europa settentrionale è già attivo con Nord Stream, dalla Russia alla Germania attraverso il Baltico. «Con Nord Stream e South Stream tutti i Paesi europei saranno uniti in un unico sistema, senza intermediari - chiarisce Posyagin nella sala di controllo -. L'affidabilità delle forniture sarà assicurata». A spese dell'Ucraina, che ancora trasporta l'80% del gas russo destinato all'Europa. «Non intendiamo chiudere questo canale - continua Posyagin - anche se certamente verrà ridimensionato. Purché gli ucraini onorino i loro contratti». Il loro sistema di gasdotti, aveva ironizzato tempo fa Aleksej Miller, amministratore delegato di Gazprom, è ormai roba da musei.

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