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Questo articolo è stato pubblicato il 13 novembre 2012 alle ore 06:39.

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Il Giappone viaggia verso una nuova recessione e le elezioni anticipate: nel periodo luglio-settembre il Prodotto interno lordo reale si è contratto dello 0,9% su base trimestrale, pari a un -3,5% annualizzato, in seguito al forte calo di export e investimenti di capitale, accompagnato da una contrazione anche dei consumi. Quasi tutti gli economisti prevedono che anche il trimestre in corso si chiuderà con il segno negativo, anche perché gli effetti economici delle tensioni con la Cina potrebbero avere un impatto ancora maggiore, mentre una ripresa europea e globale che possa accrescere la domanda per il Made in Japan non appare alle porte.
Il Paese che nei primi 3 mesi di quest'anno aveva conseguito la maggiore crescita tra le principali nazioni industrializzate ha visto evaporare la spinta propulsiva derivante dalla manovra di stimolo economico finalizzata alla ricostruzione post-tsunami: per quanto la domanda pubblica sia rimasta positiva (+1,1%, con un +4% di investimenti), non ha potuto compensare il forte calo dell'export (-5%), soprattutto verso Cina ed Europa, la riduzione degli investimenti delle imprese (-3,2) e la stessa frenata dei consumi (-0,5%) coincisa con la scadenza di fine estate di alcuni incentivi (come quelli per l'acquisto di auto ecologiche).
Gli analisti di Nomura hanno subito abbassato le stime sul Pil di quest'anno da +2% a +1,6% (da +1,2 a +0,7% quelle dell'anno fiscale a tutto marzo 2013): prevedono una recessione nel secondo semestre ma ipotizzano una ripresa successiva basata su quattro condizioni non tutte con la stessa probabilità: «Una ripresa della domanda dagli Usa, che supereranno il loro problema di "precipizio fiscale"»; «il completamento dell'aggiustamento delle scorte nell'industria manifattueriera cinese entro fine anno»; «ulteriori sforzi di allentamento monetario da parte della banca centrale fin da gennaio» e infine «un budget supplementare di stimolo all'inizio del 2013».
Intanto un altro schiaffo è arrivato ieri da Moody's nel suo ultimo credit outlook report: rilevando che il Giappone ha annunciato la settimana scorsa il suo primo deficit delle partite correnti (su base mensile de-stagionalizzata), l'agenzia di rating americana ha dipinto un quadro pessimista, pur escludendo di attendersi che le partite correnti vadano in deficit strutturale: «Questo dato è credit negative perché dimostra che la crescita giapponese è diventata dipendente da quella dell'export e senza una più forte crescita economica il Paese non riuscirà a contenere il crescente peso del debito governativo nel quadro della attuale cornice di politica fiscale». Un grave problema è che una recessione prolungata metterebbe politicamente a rischio il varo del primo aumento dell'imposta sui consumi da oltre un decennio (previsto in aprile), sul quale il premier Yoshihiko Noda ha puntato molte carte, fino a promettere nell'agosto scorso all'opposizione di convocare «presto» elezioni anticipate.
Noda ha dichiarato che l'esecutivo reagirà «con un senso di urgenza» al peggioramento della congiuntura. Ma è chiaro che – benché con una popolarità del Governo scesa ai minimi, sotto il 20%, il partito di maggioranza si avvii a una sonora sconfitta alle urne – non potrà tirare tanto più in lungo lo scioglimento della Camera Bassa: le indiscrezioni parlano di dicembre o al massimo gennaio. Così si spiega la disponibilità dell'opposizione, emersa ieri, a evitare l'ormai incombente "fiscal cliff" giapponese, con il preannuncio del via libera all'emissione di bond a copertura del deficit.
Il dibattito politico finisce per assomigliare sempre più a quello europeo, ruotando intorno alla quadratura del cerchio su come sostenere la crescita tra forti costrizioni di bilancio derivanti da un enorme indebitamento. Il Paese mostra di avere più flessibilità, tanto che il ministro delle politiche economiche Seiji Maehara ha parlato di una nuova manovra di stimolo dopo quella modesta da 4,2 miliardi di euro annunciata il mese scorso. Maehara ha poi suggerito che la banca centrale debba inoltrarsi in altri territori inesplorati, come l'acquisto di titoli esteri. D'altra parte, le esigenze di spesa si moltiplicano: da ultimo, l'utility Tepco chiederà molti altri soldi pubblici, visto che il costo per decontaminazioni e compensazioni a Fukushima potrà superare i 100 miliardi di euro.
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