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Questo articolo è stato pubblicato il 15 novembre 2012 alle ore 06:39.

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MILANO
Un'aula gremita, al Politecnico di Milano. Economisti e ingegneri prendono appunti. In cattedra Rafael Correa, presidente dell'Ecuador dal gennaio 2007 e candidato per le prossime elezioni in programma a febbraio. A lui è assegnata una lectio magistralis in cui si parla di debito pubblico: "L'esempio dell'Ecuador di fronte alla crisi del debito in Europa". Il Sole-24Ore lo ha incontrato poco dopo. L'Ecuador è una delle economie più dinamiche dell'America Latina che nel 2011 è cresciuta del 7,8 per cento. E al tempo stesso il suo debito estero è sceso da 17,4 a 13,6 miliardi di dollari.
Qual è stata la ricetta? «Puntare sulle infrastrutture - spiega Correa - ripartire da uno sfruttamento ragionevole delle nostre risorse naturali e rinegoziare il debito. Nelle crisi debitorie vanno esplorate nuove strade. È andata bene, ci siamo meritati la fiducia degli investitori internazionali». Ieri, in effetti, la potentissima banca brasiliana Bndes ha firmato un prestito di 90,2 milioni di dollari per finanziare un impianto idroelettrico ecuadoriano. Negli anni scorsi sono affluiti investimenti rilevanti. Quale lezione per l'Italia e l'Europa? «Non voglio impartire lezioni a nessuno, mi limito a dire che le soluzioni ortodosse non hanno risolto il problema del debito».
Il debito, appunto. L'Ecuador, proprio quattro anni fa, è stato additato come un "Paese irresponsabile", nuovo membro dell'Asse del male per aver dichiarato di non voler pagare una parte del debito. Presidente, poi cosa è successo? «Abbiamo rinegoziato il debito, affrontato alcune questioni che riguardano il funzionamento della nostra economia dominata dagli oligopoli, focalizzato alcune distorsioni, l'economia è ripartita». La dollarizzazione (il dollaro americano è la moneta nazionale) è stata additata, proprio dal suo Governo, come la peggiore sciagura possibile, un cancro da estirpare. Però è ancora lì, perché? «Non abbiamo potuto sostituirla con una moneta nazionale perché tutte le attività sono in dollari e il Paese patirebbe una crisi gravissima se la togliessimo - spiega Correa - ma ciò non toglie che sia una perversione e che in futuro potrebbe essere eliminata».
Alcuni Paesi europei e gli Stati Uniti guardano con diffidenza agli accordi economici che il Governo di Quito sigla con l'Iran, con il Venezuela. «Siamo uno Stato sovrano, le scelte di politica commerciale vanno rispettate anche perché gli stessi Paesi che ci accusano di appartenere all'Asse del male aprono ambasciate e stringono accordi con i Paesi da cui noi dovremmo restare lontani». Presidente Correa, come finirà la vicenda di Julian Assange (l'hacker australiano che ha svelato i segreti della diplomazia mondiale), rifugiato nell'ambasciata ecuadoriana a Londra? «Dipenderà dalla Gran Bretagna e dalla Svezia, oltre che dal suo avvocato difensore. Vedremo. Noi ci siamo limitati a tutelare i diritti umani di una persona in pericolo di vita».
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