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Questo articolo è stato pubblicato il 15 novembre 2012 alle ore 06:39.

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NEW YORK
«Il 98% degli americani, i ceti medi, non deve subire aumenti delle imposte». Barack Obama, nella prima conferenza stampa dalla rielezione, ha affrontato tutti i nodi urgenti per la Casa Bianca, di politica interna e internazionale: dallo scandalo che ha provocato le dimissioni del direttore della Cia David Petraeus - «non mi risultano danni alla sicurezza nazionale» - ai misteri della tragedia di Bengasi - «coopereremo con il Congresso». Fino alla Siria: «Non siamo pronti a riconoscere l'opposizione quale governo in esilio, ma li incontreremo». È però sull'economia che Obama ha rivendicato di aver ottenuto dagli elettori un chiaro mandato: «Aiutare la classe media. Lavoro e crescita sono la priorità, accanto a una riduzione responsabile e equilibrata del debito».
Obama ha chiesto al Congresso, anzitutto, di non perdere tempo nell'estendere gli sgravi fiscali a piccole aziende e famiglie con redditi inferiori ai 250mila dollari, che altrimenti scadranno a fine anno. «Possiamo già trovare un accordo la prossima settimana, i ceti medi non devono essere ostaggio del dibattito sulle imposte per i più ricchi». Quel dibattito, sulle aliquote per i redditi più elevati, si annuncia teso: Obama lo comincerà domani ricevendo i leader di entrambi i rami del Parlamento, democratici e repubblicani. Ieri pomeriggio, dopo la conferenza stampa, il presidente ha incontrato un nutrito gruppo di aziende, da Ibm a General Electric, da American Express a Wal-Mart, per invitarle a premere su Washington proprio a favore di un compromesso sul cosiddetto Fiscal cliff. Un precipizio fiscale rappresentato da automatici tagli di spesa e incrementi delle imposte per 600 miliardi di dollari a partire da gennaio in assenza di intese per contenere il deficit. «Sono convinto che gli sgravi al 2% più abbiente della popolazione non abbiano senso – ha detto Obama, ribadendo il progetto di alzare le aliquote massime –. Ma non sbatto la porta in faccia a nessuno. Ciò che non voglio sono ambigui aumenti delle entrate fiscali». I repubblicani hanno finora indicato di essere pronti ad alzare le entrate solo con l'eliminazione di deduzioni. Una formula che, per la Casa Bianca, non basta affatto a raggiungere il suo obiettivo di 1.600 miliardi in nuove entrate in dieci anni da affiancare ai risparmi.
Anche gli interrogativi di politica estera e sicurezza nazionale sono rimasti sotto i riflettori. Due senatori repubblicani, John McCain e Lindsay Graham, hanno invocato commissioni d'inchiesta stile Watergate su Bengasi, dove fu ucciso l'ambasciatore americano in Libia, per verificare se l'amministrazione abbia orchestrato cover-up minimizzando un attacco terroristico. Hanno criticato in particolare l'ambasciatore all'Onu Susan Rice, possibile candidato a nuovo segretario di Stato. Obama ha risposto difendendola a spada tratta: «È scandaloso che se la prendano con lei, che non ha nulla a che fare con Bengasi. Se vogliono attaccare qualcuno che attacchino me». Sul caso Petraeus, Obama ha sostenuto di non avere «indicazioni di violazioni di informazioni classificate». Ha tuttavia aggiunto di aspettarsi che le «le indagini facciano il loro corso». Petraeus, intanto, testimonierà oggi a porte chiuse davanti alla Commissione Intelligence del Senato su Bengasi.
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