Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 16 novembre 2012 alle ore 07:50.
L'ultima modifica è del 16 novembre 2012 alle ore 09:01.

My24
(Lapresse)(Lapresse)

ROMA - Di elezioni anticipate ufficialmente Giorgio Napolitano non parla. Ma quando il capo dello Stato sottolinea che il suo ruolo non si limita al «taglio dei nastri», lancia un chiaro avvertimento alle forze politiche. Parlare oggi di scioglimento anticipato delle Camere, con la legge di stabilità ancora al primo passaggio parlamentare e senza nessuna intesa sulla legge elettorale, è «irrazionale», «irresponsabile».

Il confronto sull'election day deve partire da questa premessa. Solo quando si saranno avverate queste condizioni, ovvero la messa in sicurezza dei conti pubblici e la riforma del Porcellum, un'eventuale anticipazione della data del voto potrebbe essere presa in considerazione.

«Non possiamo giocare con il rischio fallimento», aveva detto ieri in mattinata il capo dello Stato, preoccupato probabilmente molto più da un'eventuale impennata dello spread che dal risparmio dei 100 milioni di euro per il doppio appuntamento elettorale. È la stessa preoccupazione di Monti che ieri, dopo un giro d'orizzonte tra le forze politiche, è andato a riferire al Colle. Il Governo non vuole fare forzature. Oggi il Consiglio dei ministri non deciderà sul voto in Lombardia e Molise e attenderà la pronuncia del Consiglio di Stato sul ricorso presentato da Renata Polverini, contro la sentenza del Tar che ha innescato la decisione del voto per le regionali a febbraio. L'obiettivo è di arrivare a una soluzione quanto più condivisa.

Qualcosa si sta muovendo. Nonostante ieri Bersani abbia ribadito il «no» a un rinvio delle elezioni regionali ad aprile ed Alfano abbia tuonato sullo sperpero di denaro pubblico, i mediatori sono all'opera, tant'è che già si ipotizza un compromesso: election day il 3 marzo. Il Quirinale per ora non si pronuncia. Il Colle preferirebbe la fine della legislatura perché ritiene che spetti al nuovo capo dello Stato nominare il futuro premier. In ogni caso perché la mediazione abbia successo, il presupposto è che si arrivi all'accordo sulla legge elettorale.

E proprio in questo senso vanno lette le parole pronunciate da Casini che, pur schierandosi con il segretario del Pdl a sostegno dell'election day, allo stesso tempo sottolinea che presupposto essenziale è la nuova legge elettorale. «Bisogna farla», dice il leader dell'Udc che si fa portavoce delle richieste del Pd sul premio al partito vincitore: «Penso sia giusto che quel partito abbia la possibilità di tessere intorno a sé un sistema di alleanze, questa è una cosa civile, difficilmente contestabile».

Se questa è la premessa, il Pd è disponibile a valutare di anticipare la fine della legislatura. «Noi non abbiamo alcun problema sulla data del voto ma riteniamo, – come sottolineato più volte da Napolitano – si debba prima fare la legge elettorale». Insomma, Bersani sull'election day a marzo non si metterebbe di traverso. Il problema però – fanno notare i democratici – è l'affidabilità della controparte.

Troppe le divisioni interne al Pdl. In cima a tutte quella tra Berlusconi e Alfano. Al momento l'unico punto condiviso tra il segretario e il Cavaliere è l'election day. Il doppio voto sarebbe infatti un bagno di sangue e va quindi evitato a tutti i costi. Berlusconi però spinge per andare al voto a febbraio. In questo modo farebbe saltare le primarie e potrebbe mettere in pista il suo «dinosauro» (che non è la figlia Marina). Alfano invece ha l'esigenza opposta: allungare il più possibile i tempi, per essere incoronato candidato premier (ieri è stato diffuso il calendario delle primarie il primo appuntamento è per Lazio e Lombardia il 16 dicembre).

La trattativa però è in corso e Casini, dopo aver aiutato Alfano adesso fa da sponda a Bersani. Il leader centrista guarda avanti nonostante ieri sia Bersani che Alfano abbiano ribadito pubblicamente un secco «no» al Monti bis.

Shopping24

Dai nostri archivi