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Questo articolo è stato pubblicato il 20 novembre 2012 alle ore 18:12.

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Benjamin Netanyahu (Epa)Benjamin Netanyahu (Epa)

Israele non rinuncia all'opzione di un'invasione della Striscia di Gaza ma si limita a "congelarla" per dare chanches alla mediazione dell'Egitto che ha negoziato una tregua che appare fragile. Il premier israeliano Benyamin Netanyahu ha avvertito stamattina che se i razzi palestinesi continueranno a piovere su Israele ''saremo costretti a prendere provvedimenti più vasti, e non esiteremo a farlo''. Ancor più esplicito il vice premier Moshe Yaalon, secondo il quale ''se gli attacchi terroristici persistono dovremo espandere l'operazione'' in atto da una settimana. In realtà, pur se con minore intensità rispetto ai primi giorni di guerra, i lanci di razzi su Israele continuano e dall'inizio delle ostilità ne sono stati lanciati circa 1.500 secondo i palestinesi (1.100Hamas e 400 la Jihad Islamica) , 1.200 secondo gli israeliane. La decisione di Gerusalemme di sospendere i preparativi dell'attacco terrestre a Gaza si presta a diverse letture. Lo Stato ebraico deve lasciare spazio alla mediazione del presidente egiziano Mohammed Morsi, che gode del sostegno delle Nazioni Unite e di Washington.

Netanyahu da un lato non può permettersi ulteriori tensioni con la Casa Bianca e dall'altro è consapevole che l'intransigenza nei confronti delle trattative peggiorerebbe l'immagine di Israele presso l'opinione pubblica e la comunità internazionale. Sostenere la mediazione egiziana può inoltre rappresentare un vantaggio strategico per gli israeliani che puntano a costringere Hamas ad uscire dall'ambiguità determinata dai suoi diversi sponsor.

C'è un Iran irriducibile che incita i palestinesi alla lotta e ha fatto arrivare a Gaza i potenti razzi Fajr-5 in grado di raggiungere Tel Aviv e Gerusalemme. Senza parlare di tregua o negoziati il portavoce del ministero degli esteri iraniano, Ramin Mehmanparast ha dichiarato che ''appoggiare il popolo palestinese è una priorità essenziale della nostra politica estera e siamo pronti a inviare aiuto umanitario''. Oggi il presidente israeliano Shimon Peres ha accusato Teheran di incoraggiare i palestinesi a lanciare razzi su Israele invece di lavorare per un cessate il fuoco: "Sono fuori di testa" ha detto Peres denunciando "il comportamento intollerabile degli iraniani che incoraggiano Hamas a lanciare missili, bombardare e stanno cercando di rifornirli di armi".

Quanto all'Egitto, dopo la vittoria dei Fratelli Musulmani e la nomina di Morsi alla presidenza, è diventato il nuovo "padrino" di Hamas, movimento a sua volta legato alla fratellanza musulmana. La mediazione di Morsi costringerà il movimento palestinese a scegliere tra le pressioni belliciste dell'Iran, finora indispensabile per i rifornimenti di armi, e quelle più moderate e tese a concludere la battaglia di Gaza dell'Egitto e del Qatar, rilevanti per il sostegno economico della Striscia. Dopo la visita a Gaza dell'emiro qatarino al-Thani, in ottobre, la piccola monarchia del Golfo Persico ha stanziato 400 milioni di dollari di aiuti economici a Gaza anche con l'obiettivo di sottrarre all'Iran quote di influenza sulla leadership di Hamas. Israele ha quindi tutto l'interesse a mostrarsi disponibile nei confronti della mediazione egiziana.

Il fallimento di Morsi non pregiudicherebbe la capacità israeliana di invadere la Striscia Gaza (operazione per la quale è già tutto pronto incluso l'afflusso dei riservisti ai reparti di prima linea) ma aprirebbe una profonda crisi tra Hamas e l'Egitto che finirebbe per indebolire il movimento palestinese nel quale Mohammed Deif, comandante dell'ala militare di Hamas, ha lanciato oggi un appello alla televisione al-Aqsa a prendere le armi e a essere pronti a un'invasione israeliana. Il successo della mediazione egiziana significherebbe la fine dei lanci di razzi sulle città israeliane e una frattura tra Hamas e Teheran i cui alleati (dal regime di Assad a Damasco agli Hezbollah in Libano) sono sempre più in difficoltà. Comunque vadano i negoziati Israele incasserà un successo almeno parziale, spendibile da Netanyahu nella campagna elettorale in vista delle elezioni del 22 gennaio.

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