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Questo articolo è stato pubblicato il 21 novembre 2012 alle ore 08:50.

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Dopo 12 ore di discussioni non si è raggiunto l'accordo sulla Grecia e non è stata dato il via libera al pagamento delle tranche di aiuti da 44 miliardi di euro per le esauste casse di Atene.
Ovviamente il premier greco Antonis Samaras ha reagito duramente allo stallo e ha ammonito i partner e creditori sul rischio di una destabilizzazione dell'eurozona. «I nostri partner e il Fondo monetario internazionale hanno il dovere di fare ciò che devono, non è solo il futuro del nostro Paese, ma la stabilità dell'intera zona euro a dipendere dal successo dell'esito di questo impegno dei prossimi giorni», ha detto Samaras in una dichiarazione. La decisione sugli aiuti ad Atene è stata rinviata a lunedì prossimo.

Ma come si è giunti a questa ennesima situzione di stallo? Un documento preparatorio dei lavori a Bruxelles dichiarava che non si può riportare il debito ellenico al 120% del Pil senza un taglio dei prestiti europei. Oggi infatti il debito greco, dopo 240 miliardi di aiuti e una ristrutturazione da 100 miliardi di euro, viaggia ancora al 170% del Pil a causa del sesto anno di recessione e alcuni "errori" di valutazione della troika.

Il documento preparatorio prevede varie forme per ridurre il debito al 120% entro il 2020 (la soglia massima sostenibile considerata dal Fmi) ma tutte queste ipotesi non sono sufficienti senza una perdita secca nei prestiti concessi dai Paesi europei, soluzione però bloccata dalla Germania che propone in cambio di dilazionare al 2022 il momento per ridurre il debito al 120% senza così mettere mano a nuovi fondi o perdite.

Ma il Fondo monetario respinge questa ipotesi perché senza correttivi il debito greco raggiungerà il 144% nel 2020 e il 133% nel 2022. Cioè sarà ancora fuori controllo e un pericolo di contagio.

La Germania iniste e dichiara che non vuole vedere perdite di capitali, una mossa politicamente insostenibile dal cancelliere tedesco Angela Merkel che propone ad esempio misure alternative come il buyback del debito detenuto dai privati a sconto di 30 o 35 centesimi sul valore nominale per una decina di miliardi di euro. Ci sono poi altre proposte nel pacchetto tedesco di salvataggio come ridurre il tasso di interesse, imporre una moratoria sul pagamento del medesimo tasso di interesse, o allungare le scadenze dei prestiti già concessi. Tutte misure che comunque riducono il peso del debito, ma non abbastanza da portarlo al livello di guardia di sicurezza del 120% entro il 2020.

Dietro le diverse tecniche contabili si scontrano in realtà due opposte volontà politiche: la prima, quella del Fmi di Christine Lagarde e fortemente sostenuta dal presidente americano Barack Obama appena rieletto, vuole chiudere il contagio greco una volta per tutte riducendo i prestiti con un secondo haircut (ristrutturazione) che coinvolga questa volta il settore pubblico; la seconda visione, dettata dal cancelliere tedesco Angela Merkel, vuole invece rinviare la soluzione definitiva a dopo le elezioni politiche del settembre 2013, data oltre la quale si potrà tranquillamente operare con una seconda ristrutturazione del debito a carico dei contribuenti europei. Ecco perché la soluzione della crisi greca non è stata ancora risolta e perché non potrà che peggiorare sia economicamente che politicamente.

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