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Questo articolo è stato pubblicato il 24 novembre 2012 alle ore 08:15.

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C'era qualcosa che non funzionava, ieri al Cairo. Il presidente parlava davanti al suo palazzo alla periferia della città, esortando il Paese ad ascoltarlo; le opposizioni manifestavano in centro, in piazza Tahrir, per spingere l'Egitto a ribellarsi. Ma a Heliopolis il presidente che parlava non era Hosni Mubarak. Era Mohamed Morsi, eletto per voto popolare. E in piazza, fra i manifestanti, c'erano anche sostenitori del vecchio regime.
Nella giornata che in Egitto è ormai dedicata alla preghiera e alla rivolta, ci sono stati scontri al Cairo, Alessandria, Porto Said e in altre città del Nord. Alcune sedi dei Fratelli musulmani sono state assaltate e distrutte al grido di «Morsi è Mubarak, rivoluzione ovunque». I feriti sono una trentina, la polizia ha evitato di intervenire con forza. Giovedì sera erano stati Mohamed el-Baradei e Amr Moussa, due dei principali leader delle opposizioni, a esortare l'Egitto a scendere in piazza contro Morsi, accusato di «voler monopolizzare il potere esecutivo, legislativo e giudiziario».
Poco prima, per decreto, Mohamed Morsi si era assunto poteri al limite dell'assoluto: nessun corpo dello Stato può annullare le decisioni presidenziali né destituire la commissione che sta scrivendo la nuova Costituzione alla quale il presidente concede altri due mesi di lavoro; dimesso il procuratore capo della repubblica Abdel Maguid Mahmoud, impopolare reduce del vecchio regime, che Morsi aveva già tentato di cacciare il mese scorso; il nuovo, Talaat Ibrahim, non resterà in carica a vita come i predecessori ma solo quattro anni per decreto presidenziale; nuovo processo ai responsabili delle repressioni durante la rivoluzione.
«Non userò mai le leggi per tornaconto personale né sarò mai contro qualsiasi egiziano», ha gridato ieri Morsi ai suoi. «Di fronte alla libertà e alla democrazia siamo tutti sullo stesso piano». E ancora: «Stabilità e sicurezza per gli individui e per la nazione: stabilità politica, sociale, economica, produttiva». Morsi non minaccia: tenta di spiegare, giustificando le decisioni del giorno prima: «Sono il garante e proteggerò i diritti dei fratelli dell'opposizione in modo che esercitino il loro ruolo». Morsi parla di un grande futuro «con l'aiuto di Dio e di tutti voi», una forma islamica moderata di «aiutati che Dio ti aiuta».
La questione della sicurezza e della stabilità è particolarmente sensibile fra gli egiziani. Sia al comizio di Morsi che alle manifestazioni di protesta non c'erano le masse oceaniche di altre occasioni. Il Paese è piuttosto stanco e diviso. Lo aveva dimostrato il risultato delle elezioni presidenziali dell'estate scorsa: al ballottaggio Morsi aveva battuto Ahmed Shafik, ex generale e ministro di Mubarak, 13,2 milioni di voti a 12,3 con il 75% dell'elettorato che non era andato alle urne. Era stato uno scontro fra due dei protagonisti della troppo lunga transizione egiziana: Fratelli musulmani contro militari. Il terzo, le opposizioni democratiche e laiche, dopo aver perso le elezioni per non essere state capaci di presentare un candidato unitario, si erano astenute.
Ieri i fronti sono cambiati di nuovo: opposizione e ancien régime insieme in piazza contro la fratellanza. Il problema delle opposizioni, quelle che hanno fisicamente iniziato la rivolta di piazza Tahrir, è di sapersi unire "contro" qualcuno, mai a "favore" di un programma comune. Apparentemente uniti contro l'assunzione di un potere sconfinato di Morsi - tecnicamente nemmeno Mubarak l'aveva - ma incapaci di condizionare insieme i lavori della commissione costituzionale.
Il centro della lotta di questa fase essenziale della transizione è la nuova Costituzione. Una prima commissione era già stata sciolta dai giudici. Morsi ha voluto in qualche modo proteggere i lavori della nuova. Con una forma di paternalismo che denota i limiti di assuefazione alla democrazia, il presidente ha voluto presentarsi come il solo protettore del processo democratico. Non ha capito che il limbo istituzionale egiziano può essere superato con il consenso: dopo piazza Tahrir due anni fa, il Paese è cambiato. Una linea di comunicazione più continua con le opposizioni avrebbe fatto capire a Morsi che il problema del presidente dell'Egitto oggi è unire e non approfondire la spaccatura che divide il Paese: islamici contro opposizioni contro militari.
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GUARDIANO DELLA RIVOLUZIONE

In difesa della democrazia
Il presidente egiziano Mohamed Morsi ha definito il decreto che gli attribuisce nuovi poteri come un modo per proteggere la transizione verso una democrazia costituzionale
I poteri
In base al decreto, il presidente «può assumere qualsiasi decisione o misura ritenga appropriata per proteggere la rivoluzione, l'unità e la sicurezza nazionale». Le dichiarazioni costituzionali, le decisioni e le leggi emanate dal presidente sono immediatamente esecutive e non soggette ad appello. Nessuna autorità giudiziaria - afferma il decreto - può dissolvere il Consiglio della Shura (Camera alta) e l'Assemblea costituente, che avrà due mesi di tempo in più per scrivere la nuova Carta. Tutte le inchieste sull'uccisione di protestanti o l'uso di violenza contro di loro verranno riavviate, tutti i processi reistituiti. Il procuratore generale verrà nominato dal presidente per un periodo di quattro anni
Fase transitoria
Il portavoce di Morsi, Yasser Ali, ha chiarito che il rafforzamento dei poteri sarà in vigore solo fino alla ratifica della nuova Costituzione egiziana

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