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Questo articolo è stato pubblicato il 26 novembre 2012 alle ore 16:27.

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Il Senato boccia l'articolo 1 della riforma sulla diffamazione a mezzo stampa, quello che conteneva le norme più importanti del provvedimento, dal differente trattamento riservato ai cronisti che diffamano (con l'ipotesi di una pena massima di un anno di carcere) rispetto al direttore che partecipa al reato (solo una pena pecuniaria) alle regole più stringenti della per la rettifica. A questo punto, tutta la riforma può dirsi naufragata.

Il Pdl non partecipa al voto
La seduta era iniziata oggi con l'appello al Pd, da parte del vicepresidente dei senatori Pdl Gaetano Quagliariello, di ritirare la richiesta di voto segreto sull'articolo 1. Di fronte al rifiuto del capogruppo Pd Anna Finocchiaro, il capogruppo Pdl Maurizio Gasparri ha annunciato l'invito ai propri senatori di non partecipare al voto. Poco prima, il relatore al testo Filippo Berselli (Pdl) aveva chiamato in causa il Governo, invitando a intervenire sulla materia.

Testo su un binario morto
A questo punto era chiaro a tutte la riforma sarebbe naufragata. Con 123 no, 9 astenuti (che al Senato valgono come voto contrario) e 29 sì, il testo è stato bocciato. A votare no, Pd, Udc, Idv e Api. Il presidente del Senato Renato Schifani ha quindi sospeso la seduta.

Lo scenario e il caso Sallusti
Al momento, quindi, per i condannati per diffamazione a mezzo stampa, restano le regole attuali: condanna massima fino a 6 anni di carcere e una multa. Il caso di Alessandro Sallusti, per cui due mesi fa era nata l'esigenza di riformare la norma, sembra ormai avviato alla sua conclusione. Il direttore condannato in via definitiva a 14 mesi di reclusione per diffamazione, potrebbe scontare la pena agli arresti domiciliari.


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