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Questo articolo è stato pubblicato il 29 novembre 2012 alle ore 14:25.

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Quello che si è visto su Rai1 tra il segretario del Pd Pier Luigi Bersani e lo "sfidante" Matteo Renzi non è solo uno scontro generazionale ma anche uno scontro tra due idee di partito e di centrosinistra. Sul fisco, sulla riforma delle pensioni, financo sulla politica estera.

«Premiare il merito è di sinistra», è uno degli slogan lanciati dal giovane sindaco di Firenze a proposito della scuola e dei suoi docenti. La "rottamazione" non è solo di persone ma anche di idee, e di storia della sinistra. Renzi sembra voler incarnare l'anima più riformista e "liberal" del Pd, fin qui minoritaria, laddove Bersani si propone invece in modo efficacemente rassicurante come l'uomo della continuità che ha tuttavia il coraggio di cambiare. Quando il segretario dice che nel suo governo ci saranno dieci donne e dieci uomini, e saranno tutti volti nuovi, vuole a sua volta garantire il ricambio. Ormai è chiaro che il rinnovamento – di classe dirigente e di esperienze – ci sarà in ogni caso. A cominciare dalle liste elettorali e dalla formazione del futuro possibile governo di centrosinistra.

In un certo senso sulla "rottamazione" Renzi ha già vinto. E non solo per il passo indietro di Walter Veltroni e Massimo D'Alema. A saltare saranno gli equilibri interni che hanno fin qui sostenuto la segreteria di Bersani, a saltare saranno le correnti e i gruppi di potere (i veltroniani non ci sono più, la maggior parte di loro sono già renziani, e non ci sono più i dalemiani i bindiani i fioroniani gli ex popolari e quant'altro), a saltare saranno i vecchi "caminetti". La geografia del Pd uscirà profondamente modificata da queste primarie. Ed è un risultato ricercato dallo stesso Bersani, che ha voluto la consultazione popolare nonostante il parere contrario della cosiddetta nomenclatura proprio per liberarsi dalla tutela della nomenclatura.

Ma il sindaco di Firenze va oltre e mette in discussione la stessa esperienza dei governi di centrosinistra che si sono alternati, con Prodi Amato e D'Alema, nel corso degli ultimi 20 anni. Perché non avete fatto la legge sul conflitto d'interessi, perché non avete combattuto serimaente l'evasione fiscale? Perché non avete fatto una seria politica industriale? «Pier Luigi, sei stato al governo 2.547 giorni», è l'affondo di Renzi. Che attacca anche l'alleanza con Nichi Vendola ricordando la rissosa Unione prodiana. «Non usare argomenti dei nostri avversari», replica seccato Bersani. E in effetti questi sono argomenti che guardano a un elettorato deluso e tentato dalle sirene populiste di Grillo più che all'elettorato militante del centrosinistra.

Renzi si conferma come più adatto a captare il voto d'opinione che a rassicurare chi è già convinto di votare per il centrosinistra. E questo sarà con ogni probabilità il suo limite domenica. Anche perché la platea dei votanti non sembra destinata a cambiare di molto: è vero che chi non ha votato al primo turno può farlo anche on line tra oggi e domani, ma è anche vero che le domande saranno accettate «solo in alcuni casi» e solo se si dimostrarà di «essere stati impossibilitati a registrarsi» nei 21 giorni a disposizione fino al 25 novembre. A sentire i bersaniani i nuovi iscritti saranno dunque poche migliaia, non sufficienti a Renzi per ribaltare i pronostici e recuperare quel 9 per cento (i renziani sostengono che in realtà sia il 5%) che lo separa da Bersani.

In ogni caso al segretario, se alla fine uscirà vincitore da queste primarie, si porranno dei problemi di non facile soluzione. A parte la scontata immissione nel partito (e nelle liste elettorali) delle truppe renziane, Bersani non potrà ignorare alcuni dei temi messi sul tavolo dal sindaco di Firenze. Sulla continuità con l'agenda Monti, sulla modernizzazione del mercato del lavoro, sul fisco. Tutti dossier che una volta a Palazzo Chigi andranno aperti nonostante la tenaglia di Vendola, ora necessario per vincere il ballottaggio ma domani possibile freno alle riforme da fare.

Per ora Bersani concede al leader di Sel qualche spruzzata in più di «profumo di sinistra», a cominciare dalla questione militare («se incontrassi Obama da premier gli direi: andiamo via dall'Afghanistan e ragioniamo meglio sull'acquistao degli F35»). Ma a gazebo smantellati dovrà lavorare «pancia a terra», per usare una sua espressione, all'accordo con i centristi di Pier Ferdinando Casini – oggi molto distanti – al fine di mettere in piedi una maggioranza in grado di governare e di traghettare l'Italia nel dopo Monti senza rinnegare Monti e le sue politiche di risanamento. Tenere tutto insieme non sarà un'impresa facile.

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