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Questo articolo è stato pubblicato il 29 novembre 2012 alle ore 13:19.

Dopo la fragile tregua tra Hamas e Israele, in una Palestina che oggi cerca il ricoscimento come stato osservatore dell'Onu, vecchie battaglie e nuove guerre si continuano a combattere in Medio Oriente, sempre più sanguinose e dagli esiti imprevedibili. Sprofondata nel terrore quotidiano della guerra civile tra gli insorti e il regime di Bashar Assad, la Siria si sta inabissando nel caos, come dimostra la strage di Jaramana, 10 chilometri a sud est di Damasco, dove un'esplosione di due autobombe ha fatto almeno 50 morti e 120 feriti.

Jaramana, sobborgo meridionale alle porte della capitale, è uno dei tanti quartieri della "cintura della povertà" intorno a Damasco, è una sorta di microcosmo della Siria, una sintesi della tragedia di un Paese.

In origine Jaramana nasce come un modesto quartiere di cristiani e di drusi - setta eterodossa dell'Islam come gli alauiti al potere - due minoranze favorevoli o per lo meno non ostili al regime di Bashar Assad: questo è il motivo, secondo i residenti, per cui è stato colpito. I ribelli invece affermano che è il regime a organizzare gli attentati per terrorizzare la popolazione, una tesi elastica e non verificabile.

Tra queste due interpretazioni opposte c'è la realtà di una periferia di case anonime e svoraffollate, costituite da grigi blocchi di cemento avviluppati dai fili della luce elettrica, di strade fangose, di servizi insufficienti o inesistenti perché la popolazione è esplosa per l'afflusso dei profughi. Come si vive qui? Anche prima della rivolta i problemi erano giganteschi. I prezzi delle abitazioni in pochi anni era saliti del 30-40% mentre si registravano espisodi sempre più frequenti di intolleranza e di violenza tra la popolazione originaria e i nuovi arrivati.

Qui ci sono tutte le straficazioni delle tragedie mediorientali degli ultimi decenni. Alla periferia di Jaramana, sulla strada per l'aereoporto, si è insediato tempo fa un campo profughi palestinesi di quasi 20mila persone: sono assistiti dall'Unwra, l'agenzia dell'Onu, che nel caos della guerra civile incontra sempre più difficoltà a intervenire. Poi, a metà degli anni 2000, sono arrivati gli iracheni, molti i cristiani assiri di Mosul che sfuggivano alla guerra civile: le cifre sono variabili, da 100mila a 250mila. A questi si sono aggiunti i siriani che hanno abbandonato in questi mesi città e villagi teatro delle battaglie più furibonde: Homs, Hama, Daraa. Jaramana, che aveva 100mila abitanti, è diventata sovraffollata e incontrollabile, come quasi tutte le periferie di Damasco dove la guerriglia affronta i soldati e milizie di Assad.

Da una parte i ribelli anti-Bashar, che oggi al Cairo si riuniscono nel tentativo di consolidare la coalizione fondata a Doha, dall'altra i lealisti: questa contrapposizione è evidente ma non descrive la reale complessità di quanto accade in Siria. La popolazione civile è presa di mira dall'artiglieria e dall'aviazione del regime ma è anche tenuta in ostaggio dagli insorti infiltrati nei quartieri delle città e nei villaggi che diventano automaticamente bersagli di soldati e milizie, dei raid aerei, con stragi orrende come quella i cui sono stati uccisi dalle bombe una decina di ragazzini in un campo di calcio.

Le vittime in Siria sono oltre 40mila, 28mila i civili uccisi, quasi 500mila i profughi tra Turchia, Giordania, Libano e Iraq. I rifugiati interni sono quasi tre milioni: questo significa che quasi un siriano su cinque ha dovuto abbandonare la sua casa. I profughi vagano da una città all'altra: quelli di Homs erano scappati a Damasco che adesso è sotto assedio della guerriglia e quindi tentano di tornare in un città semidistrutta. Al Nord l'aviazione ha messo sotto tiro i campi profughi a ridosso della frontiera con la Turchia. Qui la situazione è bollente perché a metà dicembre, su richiesta di Ankara, la Nato schiererà i missili Patriot.

Al telefono con Damasco nelle zone calde del Paese si sentono in lontananza i boati delle esplosioni: ma qui arriva un'eco assai lontana. Fino a quando, un giorno, ci diranno che la Siria non c'è più.

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