Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 04 dicembre 2012 alle ore 06:40.

My24

È il giorno del giudizio. Per quanto possa suonare solenne, la decisione di oggi sul conflitto tra poteri promosso dal Quirinale contro la Procura di Palermo – per le telefonate fra Giorgio Napolitano e Nicola Mancino intercettate sulle utenze dell'ex ministro indagato nel procedimento sulla trattativa Stato-mafia – ha un peso che va ben al di là della questione strettamente giuridica e che perciò ha imposto alla Corte costituzionale una speciale ponderazione. A Palazzo della Consulta c'è un riserbo senza precedenti, anche se le voci della vigilia raccontano di una Corte impegnata faticosamente a conciliare posizioni diverse e ad aggregare il maggior numero di consensi su questa o quella soluzione.
Ci sono i fautori della tesi presidenziale, cioè della menomazione delle attribuzioni del Capo dello Stato e dell'immunità diretta ad assicurargli libertà di azione, di comunicazione e riservatezza connesse alle sue funzioni. Ma ci sono anche i fautori dell'inammissibilità del conflitto perché nessuna menomazione è riscontrabile in base alle norme vigenti. Poi ci sono i fautori di tesi intermedie, dettate anche dalla delicatezza del caso, come quella di sollevare questione di legittimità costituzionale dinanzi a se stessa sulle norme vigenti, o quella di considerare fondato il ricorso, ma solo "in linea di principio", limitatamente cioè al divieto di intercettare ma senza l'ordine di distruggere, facendo quindi tornare la palla al legislatore (costituzionale e ordinario) per disciplinare le prerogative del Capo dello Stato e procedimentalizzare le intercettazioni che lo riguardano.
Ancora poche ore e si saprà. Il verdetto dovrebbe infatti arrivare già stasera, al massimo domani. Non solo perché la questione è stata sviscerata nelle scorse settimane, ma anche perché la Corte è consapevole dei rischi di tempi lunghi e delle strumentalizzazioni di fughe di notizie, inevitabili se tra la discussione e la comunicazione del verdetto trascorre anche solo una notte. La decisione verrà resa pubblica con un comunicato stampa, più o meno articolato a seconda della soluzione. Ma sono in molti a far notare che, più del dispositivo, conterà la motivazione (in ballo c'è una certa idea di Stato), cioè quel che la Corte scriverà per mano di Gaetano Silvestri e Giuseppe Frigo, relatori del conflitto ed estensori della sentenza. Che verrà depositata a gennaio.
Saranno Silvestri e Frigo, stamattina, a illustrare il conflitto in udienza. Poi parleranno gli avvocati: per il Quirinale, il vice Avvocato generale dello Stato Antonio Palatiello e i colleghi Michele Giuseppe Dipace e Gabriella Palmieri; per la Procura di Palermo, il professor Alessandro Pace e i colleghi Giovanni Serges e Mario Serio.
Il caso è esploso nel corso dell'indagine palermitana sulla stagione degli omicidi eccellenti e delle stragi di mafia (primi anni 90) e sulle presunte coperture istituzionali ai contatti fra uomini dello Stato e boss di Cosa nostra. Nicola Mancino, all'epoca ministro dell'Interno, è stato intercettato sulle 6 utenze telefoniche di cui era titolare, ma su 9.295 conversazioni captate, solo 4 erano con Napolitano: le prime 2 in uscita (effettuate da Mancino), le altre 2 in entrata (effettuate dal Quirinale). Telefonate mai rese pubbliche dalla Procura, che le ha ritenute irrilevanti, ipotizzandone la distruzione, da delegare al giudice nell'apposita udienza stralcio alla presenza delle parti interessate.
Il Quirinale chiede alla Corte di dichiarare che «non spetta» alla Procura «registrare» telefonate a cui ha preso parte il Capo dello Stato, anche se captate casualmente; «omettere» di chiedere al giudice l'immediata distruzione delle intercettazioni, in quanto illegittime; «valutarne la rilevanza»; «attivare» la procedura di legge prevista (udienza filtro in contraddittorio delle parti) per utilizzarle o distruggerle. La Procura contesta in radice il ricorso perché chiede al Pm di fare ciò che non è nei suoi poteri (ma del giudice) e perché l'irresponsabilità del presidente per gli atti funzionali non lo esenta dalla giurisdizione per gli atti extrafunzionali. Ma anche perché contesta che vi sia un principio di «immunità assoluta» del presidente, assimilabile all'«inviolabilità» tipica del Sovrano nei regimi monarchici, in netta contraddizione «con i principi dello Stato democratico-costituzionale».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Il «ricorso» LE INTERCETTAZIONI
Le stragi degli anni Novanta
nel mirino dei pm palermitani
Nicola Mancino, all'epoca ministro dell'Interno, è stato intercettato e per quattro volte parlava con Napolitano: la procura le ha ritenute irrilevanti, ipotizzandone la distruzione, da delegare al giudice nell'apposita udienza
IL CONFLITTO Il «conflitto» di attribuzione
sollevato dal Colle
Il Quirinale ha chiesto ai giudici della Corte costituzionale, tra l'altro, di dichiarare che «non spetta» alla Procura «registrare» telefonate a cui ha preso parte il Capo dello Stato, anche se le stesse sono state captate casualmente

Shopping24

Dai nostri archivi