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Questo articolo è stato pubblicato il 04 dicembre 2012 alle ore 18:27.

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Greg Lemond (Ap)Greg Lemond (Ap)

Può solo far piacere che Greg Lemond si candidi alla presidenza dell'Unione ciclistica internazionale. Sia perché è stato uno straordinario campione, sia perché in corsa come nella vita non ha mai avuto paura, quando era il momento, di metterci la faccia.
Le sue accuse sono sacrosante. Perfino "rispettose" se si pensa a quali abissi il Gran Barnum dell'Uci (prima Hein Verbruggen e poi l'attuale presidente Pat McQuaid) abbia portato il ciclismo in poco meno di un ventennio.

Numeri che fanno paura. Storie drammatiche che è perfino difficile ricordare perché quasi tutti, i protagonisti di questo sport, sono rimasti macchiati dal doping in un crescendo di scandali e complicità da lasciare senza fiato. La sconcertante vicenda di Armstrong è solo l'ultima. Dal 2000 al 2012 sono stati squalificati 330 corridori. Ma già nel 1996 Bjarne Riis ha vinto un Tour de France che poi avrebbe ammesso di aver corso sotto gli effetti dell'Epo. Poi lo scandalo della Festina nel 1998, il blitz al Giro del 2001, la squalifica di Garzelli nel 2002. I Tour del 2006 e del 2010 con i vincitori squalificati (Landis e Contador) in mezzo all'Operacion Puerto che prima ferma Ivan Basso e Jan Ullrich e poi a strascico Valverde e Scarponi. Un elenco infinito che prosegue con Riccò, Piepoli, Rebellin, Di Luca, di nuovo Contador fino alla vita spericolata di Vinokourov. E lasciamo perdere Pantani.

Di fronte a questo campionario degli orrori non si può dire che non c'eravamo. Che non abbiamo visto. Che non abbiamo sentito. Come fa il governo del ciclismo che si è dichiarato «dispiaciuto di non essere riuscito a fermare questo sistema». Complimenti. È crollata la casa, ma gli amministratori e gli architetti non se sono accorti.

Greg Lemond, dopo averne chiesto le dimissioni, ha definito questa presidenza «la parte corrotta dello sport». Ha pienamente ragione. Perché davanti a questo scenario apocalittico o si è incapaci o complici. O forse entrambe le cose.

È da tempo che Lemond combatte questa battaglia. Anche sua moglie, Kathy, ha accusato sotto giuramento la Nike d'aver dato 500mila dollari nel 2006 a Verbruggen, presidente dell'Uci, per aver coperto la positività di Armstrong in un test antidoping. Dire collusione è poco. Sempre Armstrong ha versato 125mila dollari all'Uci per «finanziare la lotta al doping». Ancora complimenti. Il controllore che riceve soldi dal controllato.

Ecco perché siamo contenti che Lemond si faccia avanti. Almeno gli americani si muovono. Molto più rapidamente degli europei che, nella lotta al doping, arrivano sempre dopo la rapina, a far crollare l'impero di bugie di Armstrong ci sono voluti gli ispettori dell'Usada, per togliere di mezzo questa cricca di imbroglioni, evidentemente, ci vuole una figura come Lemond che guida senza paura il movimento "Change Cyling Now", cambiamo il ciclismo adesso.

Qualcosa fortunatamente si muove anche in Italia. Gianni Bugno, il presidente dell'Associazione corridori, ha scritto una lettera a McQuaid dicendo che finora hanno pagato solo i corridori. E aggiunge: «È giunto il momento che tutti quelli che gravitano nel mondo del ciclismo, e che hanno avuto comportamenti scorretti, siano allo stesso modo perseguiti».

Che dire? Speriamo che tutti i corridori si rendano conto che non si può più andar avanti così. Che la festa è agli sgoccioli e non solo per la crisi economica. Gli sponsor scappano, e la gente non crede più a nulla. "Tutti dopati" è il ritornello. E non si può dire che sbagli. Il nostro movimento sta diventando di serie C. Vincenzo Nibali, la punta di diamante del ciclismo italiano, è passato all'Astana. In totale i nostri corridori accasati oltre confine sono 34. Dicono che sia un ciclismo d'esportazione. In realtà è una grande fuga. L'ultima.

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