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Questo articolo è stato pubblicato il 05 dicembre 2012 alle ore 12:27.

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Essere "spiaggiati" per una nuova proroga delle concessioni balneari. Più che un paradosso è il rischio concreto che il Governo sta correndo in queste ore al Senato. Da una parte Palazzo Madama che all'unanimità, o quasi, nella lunga notte di lavoro in Commissione Bilancio sul decreto Sviluppo bis ha trovato il modo di allungare di ulteriori 5 anni (dal 2015 al 2020) la vita delle attuali concessioni. Dall'altra il Governo che, con a capo il ministro per le politiche comunitarie, Enzo Moavero - sostenuto dal padre naturale del Dl "crescita 2.0", il ministro per lo Sviluppo economico, Corrado Passera - si oppone fin che può alle scelte della politica sul nodo spiagge evidenziando che la strada della proroga "secca" è di fatto una via senza uscita.

Giustizia Ue e impegni da rispettare
O meglio, il solo sbocco che potrà avere è quello di un nuovo richiamo del Governo italiano da parte della Commissione europea e, quasi in tempo reale, il rinvio di Roma in Corte di giustizia Ue. Non va dimenticato, infatti, che sulle concessioni demaniali la querelle con l'Unione europea va avanti già da qualche anno. Con tanto di procedura di infrazione aperta dai commissari europei e poi chiusa dopo che l'Italia aveva sì prorogato la validità delle concessioni demaniali fino al 2015 ma con l'impegno, allo scadere, di mettere a gara il rilascio delle nuove concessioni.

Braccio di ferro Governo-parlamento
La proroga di 5 anni inserita non fa che calpestare questo accordo, dicono dal Governo, dando la possibilità ai commissari Ue di spedire l'Italia direttamente davanti ai giudici comunitari. Ma ora i fari più che a Bruxelles sono puntati a Palazzo Madama dove il braccio di ferro non è più solo tra Governo e balneari ma ora è anche tra Esecutivo e forze politiche sull'inserire o meno nel maxiemendamento al decreto Sviluppo la proroga sulle spiagge.

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