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Questo articolo è stato pubblicato il 07 dicembre 2012 alle ore 06:39.

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Che cosa rappresenta oggi l'Islam politico ed esiste davvero un'alternativa islamica? I movimenti di ispirazione religiosa saliti al potere con la primavera araba dopo decenni all'opposizione inviano segnali di pericolosa involuzione.
L'Islam dei Fratelli musulmani, fondati dall'egiziano Hassan Al Banna negli anni venti, sta fallendo la prova del potere per le mosse maldestre del presidente Mohammed Morsi che, avocando a sé i pieni poteri, ha provocato un disastro e ora viene sconfessato dai suoi consiglieri e persino dagli islamici di Al Azhar. Il referendum costituzionale del 15 dicembre, se non sarà rinviato, rischia di diventare l'appuntamento fatale per una spaccatura senza precedenti.
Morsi ha dato la pessima impressione a una parte del Paese di essere passato da una dittatura militare - che esprimeva il presidente dai ranghi delle forze armate - a una religiosa. L'Egitto rimane, per il momento, il più grande cantiere con lavori in corso della democrazia araba, ma il presidente ha sprecato il capitale di credibilità acquisito con il successo della sua mediazione nella tregua tra Hamas e Israele.
Non è una buona notizia per l'Occidente e neppure per gli stessi avversari dei Fratelli Musulmani perché i gravi problemi economici e sociali dell'Egitto richiedono - oltre ai prestiti delle istituzioni internazionali - una guida politica meno intransigente e un'opposizione costruttiva: i carri armati in piazza non sono una presenza incoraggiante.
Gli islamici mostrano la corda anche in Tunisia dove sono la maggioranza nel governo di coalizione guidato dal partito Ennhada, la Rinascita, il movimento fondato da un capo storico e di una certa abilità dialettica come Rashid Gannouchi. Proteste e scontri si moltiplicano, soprattutto nella provincia profonda dove partì la rivolta contro Ben Alì.
Ennhada è in rotta di collisione continua con il sindacato Ugtt che fu tra le anime della primavera tunisina, espressione dei laici e della sinistra. Ma è anche condizionata dagli islamici radicali che hanno buon gioco a orchestrare le provocazioni.
L'Islam politico ha successo in Turchia, grazie agli eclatanti risultati economici e a una costituzione fortemente secolarista, dove la parola Islam non viene citata neppure una volta: anche per questo il primo ministro Erdogan vorrebbe cambiarla.
Prove di stabilità vengono dal Marocco dove comunque il partito Giustizia e Sviluppo resta sotto la tutela della monarchia.
Il richiamo dei movimenti islamici arabi all'Akp turco sono frequenti ma sembrano motivati più dall'intenzione di dare prova di moderazione che come modello da applicare: sulla sponda Sud le vicende sono troppo diverse per paragonarle alla storia della Turchia dove Ataturk seppellì le spoglie dell'Impero Ottomano e il califfato, cioè la massima espressione storica dell'Islam politico.
I partiti islamici che si sono affermati nelle tornate elettorali dovevano costituire un'alternativa non soltanto alle dittature ma anche al fallimento dell'Islam rivoluzionario che nello stesso Egitto, in Algeria e nel mondo musulmano sunnita aveva preso negli anni ottanta e novanta una deriva violenta e terroristica e costituisce tuttora un grave pericolo con al Qaida e i jihadisti.
L'alternativa islamica agli Stati dei raìs si rivela assai difficile da perseguire soprattutto perché - come nel caso della nuova costituzione egiziana che si richiama alla sharia ancora più di quella precedente introdotta nell'80 da Sadat - si fonda su un'utopia retrospettiva: la concezione che per costruire il futuro bisogna guardare al passato e riprodurre l'epoca del Profeta, con la legge islamica e il ritorno all'interpretazione originaria del Corano.
Un fallimento della democrazia all'islamica in Egitto pone gravi problemi all'Occidente: come ricomporre le divisioni interne e avere un dialogo per la stabilità della sponda Sud?
Siamo al punto chiave della primavera araba che eredita il collasso degli stati laici: non li abbiamo ancora sostituiti e il processo democratico sottolinea la frammentazione delle società arabe, come è già accaduto in Iraq dopo la caduta di Saddam e avverrà probabilmente tra qualche tempo anche in Siria. Ma questo forse è un passaggio obbligato e inevitabile.
© RIPRODUZIONE RISERVATA di Alberto Negri

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