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Questo articolo è stato pubblicato il 08 dicembre 2012 alle ore 08:13.

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ROMA
L'obiettivo immediato di Silvio Berlusconi è far dimenticare agli elettori il sostegno offerto per un anno al Governo Monti. Questo significa che il Pdl non voterà più a favore di alcun provvedimento ma si limiterà, attraverso l'astensione o la non partecipazione al voto, a far passare la legge di stabilità, il decreto Ilva e probabilmente il dl sviluppo. Sulla delega fiscale invece nessuna certezza. Così come ovviamente sulla legge elettorale. Berlusconi vuole tenersi il Porcellum anche se non gli dispiacerebbe certo l'introduzione di una "piccola" modifica come l'introduzione della soglia minima per l'aggiudicazione del premio di maggioranza alla Camera.
Ma a questo punto poco importa. La sostanza è che la maggioranza non c'è più. Angelino Alfano lo ha confermato al Capo dello Stato e ripetuto ieri nell'aula della Camera dove il segretario, dopo aver sentenziato la fine «dell'esperienza Monti» ha recitato il mantra che segnerà questa campagna elettorale, ovvero: stavamo meglio un anno fa, condito però dall'assicurazione «non manderemo il Paese allo scatafascio». Tradotto: il via libera alla finanziaria e all'Ilva non è in discussione ma per il resto nulla di scontato.
Il Cavaliere del resto ormai è lanciato. Avrebbe voluto intervenire già oggi a Montecitorio (il discorso era già pronto) ma poi ha preferito evitare. Mancava la conferma sull'election day, ossia il voto congiunto per le politiche e la Lombardia. Un passaggio essenziale per l'ex premier che ha bisogno dell'alleanza con la Lega di Maroni per poter impedire al Pd di conquistare la maggioranza al Senato. Il Capo dello Stato non ha fatto alcuna comunicazione ufficiale ma tutti i partiti danno quasi per scontata la data del 10 marzo e il conseguente scioglimento delle Camere a partire dal 10 gennaio.
Non tutto ancora è definito. A Palazzo Grazioli ormai è un susseguirsi pressoché ininterrotto di vertici per mettere a punto la campagna elettorale e il restyling del Pdl che, viene dato ormai per certo, cambierà simbolo e nome. Qualcuno sostiene perfino che Berlusconi alla fine potrebbe non essere il candidato premier. Molto dipenderà dalle risposte che arriveranno dai sondaggi la prossima settimana e anche dai termini dell'alleanza con la Lega. In caso di coalizione con il Carroccio non è infatti da escludere che per la premiership sia resuscitato Alfano. Poco cambia. A decidere è comunque Berlusconi che vede con favore anche l'alleanza con liste satelliti tipo quella di Sgarbi o dell'imprenditore Samorì. L'importante è fare massa.
Il ritorno del Cavaliere ha messo in subbuglio il Pdl e soprattutto ha imposto a molti parlamentari di doversi rapidamente ricredere sugli scenari che andavano vagheggiando soltanto fino a pochi giorni orsono. «Berlusconi non si dimentica dei traditori...», diceva ieri un fedelissimo. Il rischio di rimanere tagliati fuori è elevato anche perché Berlusconi vuole inserire facce nuove tra gli aspiranti parlamentari e dunque i posti a disposizione, già falcidiati dalla perdita di consensi, sono destinati ad essere ulteriormente ridotti. Ecco perché non è da escludere che possano esserci anche ulteriori sorprese come l'eventuale separazione di una parte degli ex An (vicini a La Russa) che pur rimanendo alleati del Cavaliere si metterebbero in proprio. Un'eventualità su cui sta riflettendo anche Giorgia Meloni. Ma sono tutti soggetti che puntano sulla stessa area di destra su cui peraltro già insiste Storace. Berlusconi per il momento lascia fare. C'è ancora tempo per fare le graduatorie dei buoni e dei cattivi. Tra questi ultimi ci sono senz'altro i montiani doc come Frattini, Mauro o Cazzola ma anche un azzurro della prima ora come Mario Valducci che ieri ha votato in dissenso dal proprio gruppo parlamentare.
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L'ESCALATION DELLA CRISI

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