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Questo articolo è stato pubblicato il 08 dicembre 2012 alle ore 08:14.

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Un altro giorno di manifestazioni e di tensioni, senza l'ombra di un dialogo vero all'orizzonte. Il presidente Morsi ha il suo ordine di marcia che le opposizioni né i sommessi consigli che vengono dall'estero, riescono a scalfire anche se in serata si sono visti spiragli con l'apertura al rinvio del referendum sulla contestata Costituzione, fissato il 15 dicembre. Rischia tuttavia di tramontare la figura internazionale di un leader che aveva appena incominciato a palesarsi nella geopolitica mediorientale.
E c'è il pericolo che insieme all'immagine di novità rappresentata dal Paese sulla scena regionale, affondi anche l'economia. Le riserve valutarie, termometro fondamentale dello stato di salute di un Paese senza risorse naturali e che compra all'estero tutto il grano che consuma, solo a novembre sono calate di altri 449 milioni di dollari. Come annuncia la Banca centrale, ora il tesoro di valuta forte è di poco più di 15 milardi di dollari: il valore di pochi mesi d'importazioni.
Ieri piazza Tahrir e soprattutto le strade attorno al palazzo presidenziale di Helyopolis, si sono di nuovo riempite con un nuovo slogan, pensato dai giovani del 6 Aprile, il movimento dal quale era iniziata la rivolta di due anni fa: "Cartellino rosso per Morsi". Hanno aderito le alleanze e i singoli partiti delle opposizioni: il Fronte di salvezza nazionale di Moammed ElBaradei e Amr Moussa, i liberali del Wafd, il Fronte nazionale per il cambiamento più a sinistra. Tutti respingono la proposta di dialogo avanzata la sera prima dal presidente.
Mohamed Morsi aveva offerto di aprire oggi un tavolo negoziale sui suoi decreti emessi il 22 novembre ma non sugli articoli della proposta di costituzione già predisposti da una commissione rappresentata solo da islamisti moderati e radicali. Né, ammoniva il presidente, sarebbe slittata la data del referendum popolare sulla costituzione, il 15 dicembre. E tuttavia ieri, il vicepresidente, Mahmoud Mekki, ha annunciato che Morsi «potrebbe accettare di rinviare il referendum» ma solo se non ci saranno conseguenze legali. Solo, in sostanza, se l'opposizione garantirà che non si appiglierà al vincolo legale che il referendum deve tenersi obbligatoriamente entro due settimane dopo la sua indizione formale. Formalmente, per il momento, sono state rinviate le operazioni di voto degli egiziani all'estero che avrebbero dovuto iniziare oggi.
È la Costituzione, infatti, più dei decreti presidenziali, l'obiettivo dello scontro così insanabile. Lo stesso capo dell'agenzia per i diritti umani delle Nazioni Unite, Navi Pillay, in una seconda lettera in pochi giorni a Morsi, ricorda che il progetto di legge contiene «alcune omissioni e ambiguità molto preoccupanti». «Noi vogliamo il dialogo», aggiunge Mohamed ElBaradei in un messaggio lasciato su Twitter. «Ma non un dialogo imposto, con qualcuno che intanto ci torce il braccio dietro la schiena».
All'ennesima manifestazione di protesta senza un successo tangibile, non tutte le opposizioni continuano a sostenere le rivendicazioni moderate avanzate fino ad ora: ridiscutere la quarantina di articoli contestati per scrivere una Costituzione che esprima un consenso nazionale e non solo quello dei Fratelli musulmani, che pure hanno vinto tutte le elezioni. Di fronte alla rigidità di Morsi che nel discorso dell'altra sera ha deluso tutti quelli che lo ascoltavano c'è chi comincia a chiedere le sue dimissioni e la ripetizione delle elezioni presidenziali.
Anche tra i Fratelli musulmani ci sono forti divisioni. Due giorni fa al-Azhar, l'università e istituzione religiosa più importante del mondo sunnita, aveva invitato Morsi al dialogo. Ma al-Azhar è la parte più moderata dell'Islam egiziano alla quale non si richiama l'attuale dirigenza spirituale e politica dei Fratelli musulmani.
La scarsa elasticità e una forma d'ingenuità nel non capire che l'Egitto dal quale è stato eletto è cambiato, giorno dopo giorno oscura l'immagine internazionale di Morsi. Solo una settimana fa la rivista americana Times ne aveva fatto un uomo del destino mediorientale. Non è tuttavia uno statista credibile chi provoca una contesa istituzionale di queste proporzioni, senza essere capace di uscirne. Per Morsi, l'Egitto e la sua economia, il tempo stringe.
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