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Questo articolo è stato pubblicato il 08 dicembre 2012 alle ore 10:39.

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Quest'anno in Romania è successo di tutto. Tra diversi capi di governo in pochi mesi. Un ribaltone in Parlamento. Un presidente della Repubblica sfuggito per un soffio a un tentativo di impeachment, finito in un nulla di fatto a causa di un'affluenza di poco inferiore alla soglia del 50 per cento prevista (ma la stragrande maggioranza dei votanti si era espressa a favore della destituzione del capo dello Stato). Una lotta durata mesi tra premier e presidente, combattuta con grande sfoggio di mancanza di fair play e di scarso rispetto dei rispettivi ruoli, con conseguente irritazione da parte dei partner europei. Il turbolentissimo 2012, annus horribilis della politica romena, si chiude domani con le elezioni per il rinnovo del Parlamento.

La Romania, che ha come secondo partner commerciale l'Italia (il primo è la Germania) e da cui proviene la più numerosa comunità di stranieri residenti nel nostro Paese (circa un milione di persone), non vive un momento economico brillante. Bucarest ha ricevuto dal Fondo monetario internazionale, dalla Banca mondiale e dall'Unione europea 25 miliardi di euro negli ultimi tre anni, ma in cambio ha dovuto mostrarsi straordinariamente diligente quanto ad austerità, tagliando ad esempio del 25 per cento le paghe, già non generosissime, dei dipendenti pubblici e aumentando sensibilmente l'Iva. La disoccupazione, intorno al 7 per cento, appare sotto controllo soltanto per la robusta vocazione migratoria mostrata dai romeni nell'ultimo decennio. La valuta nazionale, il leu, si è deprezzata notevolmente. La crescita del Prodotto interno lordo ha rallentato negli ultimi mesi e il 2012 dovrebbe chiudersi con un +0,8 per cento, che è un dato modesto per il secondo Paese più povero dell'Unione europea.

La Romania arriva alle elezioni di domani divisa e confusa. Il rigorismo del governo di centrodestra fedele al presidente della Repubblica Traian Basescu, che è stato assai apprezzato nelle stanze della Trojka, non ha ricevuto altrettanti applausi nelle strade romene. E proprio in conseguenza del diffondersi delle proteste popolari l'ex premier Emil Boc nel febbraio scorso ha dovuto passare la guida del governo al compagno di partito Mihai Razvan Ungureanu. Dopo soltanto tre mesi, ecco un nuovo giro di danza, questa volta però assai più vorticoso. A maggio è sfiduciato anche Ungureanu e la guida del governo passa al socialdemocratico Victor Ponta, appoggiato da una maggioranza tutta diversa dalla precedente. La prima iniziativa di Ponta è il tentativo di impeachment nei confronti del presidente, che avrebbe travalicato le sue competenze. Tentativo che, come si è detto, non è riuscito per un soffio.

Intanto, mentre la lotta tra i due contendenti Basescu e Ponta si svolgeva con più di un colpo sotto la cintura e sul premier si abbatteva l'accusa di aver scopiazzato, con assai scarsa attenzione alla citazione delle fonti, la sua tesi di dottorato, è cresciuta la stella di Dan Diaconescu, recente fondatore del Partito del Popolo. Proprietario di una rete televisiva e protagonista in prima persona dei palinsesti più trash, Diaconescu circola su una Rolls-Royce bianca, che un paio di mesi fa, mentre era parcheggiata davanti a casa, è stata imbrattata da una mano ignota, che ha scritto con vernici multicolori sulla fiancata un beffardo invito da faro a faro a votare proprio il Partito del popolo. Questo nuovo movimento politico si profila come la next big thing della politica romena e fa rotta nei sondaggi verso il 15 per cento dei voti grazie al piglio ultrademagogico del suo leader. Le promesse di Diaconescu – ad esempio quella di tagliare l'IVA dal 24 al 10 per cento e quella di dare ventimila euro a ogni nuovo imprenditore – fanno breccia in una popolazione che, già piuttosto povera, si è vista ulteriormente depauperata dalle misure rigoriste degli ultimi anni.

Al di là del probabile successo da terzo incomodo di Diaconescu e del suo Partito del popolo, secondo i sondaggi più recenti le elezioni di domani dovrebbero essere stravinte con il 50 o addirittura il 60 per cento dei voti dall'Unione social-liberale del premier Victor Ponta. Questa coalizione è un bizzarro trio sinistra-centro-destra formato dal Partito socialdemocratico del premier uscente, dal Partito nazionale liberale e dal Partito conservatore, che appoggiano l'attuale governo e sono cementati soltanto dalla comune avversione per il presidente Basescu. Lo schieramento opposto di centro-destra, l'Alleanza per una Romania giusta, vicina al capo dello Stato, è invece accreditato di un risultato inferiore al 20 per cento.

Eppure, nonostante questi sondaggi e benché Ponta abbia affermato in un'intervista al Financial Times che «la lotta con Basescu è ormai un capitolo chiuso" e che entrambi sono intenzionati "a fare del proprio meglio per evitare ulteriori conlflitti», alcuni analisti sono convinti che anche il 2013 possa essere un anno difficile per la politica romena. Infatti, se l'Unione social-liberale di Ponta, pur vincendo le elezioni, non dovesse ottenere una maggioranza assoluta dei seggi, il presidente Basescu, a cui spetta il compito di dare il mandato per formare il governo, potrebbe tentare lo sgambetto, spingendo tutti gli altri partiti ad aggregarsi in un governo che tagli fuori il suo acerrimo avversario.

In ogni caso, mentre Diaconescu dalla sua candida Rolls lancia proposte col botto buone soltanto a riempire la propria cassa di voti di protesta, chiunque si troverà a governare non potrà prescindere dall'occhiuto controllo dell'Unione europea e del Fondo monetario internazionale, che premono per una rinnovata severità nei conti. E se il governo di Ponta ha potuto negli ultimi mesi allentare un po' il morso dell'austerità grazie a un precoce raggiungimento degli obiettivi sul deficit che erano stati imposti a Bucarest dall'Fmi, non sarà facile per l'Unione social-liberale, anche in caso di una sua larga vittoria, portare il Paese su binari molto diversi da quelli rigoristi che hanno fatto perdere il consenso degli elettori al partito del presidente Basescu.

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