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Questo articolo è stato pubblicato il 10 dicembre 2012 alle ore 09:43.

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Il primo ministro Mario Monti è accolto da Fabian Stang, sindaco di Oslo, fuori dal municipio, prima della cerimonia del Premio Nobel per la Pace. (Reuters)Il primo ministro Mario Monti è accolto da Fabian Stang, sindaco di Oslo, fuori dal municipio, prima della cerimonia del Premio Nobel per la Pace. (Reuters)

«Sono convinto di aver fatto la cosa giusta e in ogni caso non potevo farne a meno, dopo quel che è successo. Ma sono preoccupato naturalmente non per me ma per quel che vedo». È la spiegazione delle ragioni delle sue dimissioni che il premier Mario Monti ha dato a chi lo ha chiamato per un saluto, come riferisce Repubblica in un resoconto firmato dal direttore, Ezio Mauro.

Il premier sottolinea di non sapere proprio quale sarà il suo futuro al termine dell'esperienza del governo tecnico: «Se dovessi candidamente dire il mio sentimento oggi, direi che sono molto preoccupato. E non mi riferisco soltanto a quella parte politica da cui è venuto questo epilogo con le mie dimissioni. La mia preoccupazione è più generale».

Una decisione, quella di rassegnare le dimissioni dopo l'ok alla legge di stabilità, maturata «proprio durante il volo da Cannes a Roma», ricordando anche «cosa aveva rappresentato per l'Italia Cannes lo scorso anno, con quel G8 all'inizio di novembre in cui il nostro Governo fu messo alle strette».

La sua scelta, comunque, sottolinea il premier, «non ha avuto bisogno di un confronto politico. Non è vero che mi sono confrontato con gli onorevoli Bersani e Casini prima di andare al Quirinale. Non ne avevo il tempo e in qualche modo potrei dire che non ne ho avvertito la necessità. Nel senso che mi era ben chiaro cosa dovevo fare. Ecco perchè non ne ho parlato nemmeno con esponenti del Governo. Ho voluto confrontarmi solo con il capo dello Stato. Poi a cose fatte ho chiamato Bersani e Casini. E dopo anche l'onorevole Alfano».

«Io non sento più intorno a me una maggioranza che, sia pure con riserve e magari a malincuore, sia capace di sostenere con convinzione la linea politica e di programma su cui avevamo concordato», spiega il premier. E «non potevo fare altrimenti. Non sarebbe stato giusto e nemmeno possibile».

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