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Questo articolo è stato pubblicato il 11 dicembre 2012 alle ore 06:37.
L'unica cosa certa, sembra, è il referendum sulla Costituzione, che si svolgerà sabato. Tutto il resto in Egitto resta confuso: a partire dalla tenuta della democrazia appena nata, dopo che il presidente ha ordinato ai militari di garantire lo svolgimento del voto, fino al punto da arrestare i civili.
Un altro pericolo non inferiore alla Costituzione e al referendum, si addensa sull'immediato futuro della stabilità egiziana: la voragine economica. Ultimo della pletora di decreti e ordini presidenziali, ieri Mohamed Morsi ne ha emesso uno che ritira quello precedente. Durante il fine settimana la gazzetta ufficiale aveva annunciato una serie di provvedimenti economici che comprendono un aumento dell'Iva, la riduzione dei sussidi sull'energia e su altri prodotti.
Letta la valanga di critiche pubblicate sui social network, e probabilmente pensando al modo migliore per convincere gli egiziani a votare per la sua Costituzione, Morsi ha fatto marcia indietro. Sul suo profilo Facebook ha annunciato che i provvedimenti sono sospesi per consentire l'apertura di un dibattito nazionale sulle tasse. Quel confronto che il presidente ha invece negato riguardo agli articoli della Costituzione approvata da una commissione composta solo da islamisti moderati e radicali.
Il problema di Morsi e dell'Egitto è che il 19 dicembre il Fondo monetario internazionale dovrà approvare definitivamente un credito da 4,8 miliardi di dollari, sborsando la prima quota. Il prestito deve servire per sostenere i piani del governo per ridurre un deficit che ormai è l'11% del Pil e ridare fiato al costante crollo delle riserve valutarie spese per sostenere il pound egiziano. Secondo la Banca centrale, a novembre sono stati persi altri 450 milioni.
Il decreto che annunciava le tasse era stato emesso pensando alla scadenza con il Fondo monetario internazionale che chiedeva di non modificare il programma economico presentato più di un mese fa. Ora è a rischio anche l'aiuto internazionale. Al dialogo nazionale sulle iniziative economiche annunciato dal presidente, restano solo quattro giorni: dal 15, quando si vota il referendum, al 19 quando il Fmi deciderà sui 4,8 miliardi.
A un prezzo sempre più pesante, sabato Morsi avrà però il suo referendum. Ieri anche il sindacato dei giudici ha annunciato che la categoria svolgerà il suo lavoro di supervisione ai seggi per lo svolgimento regolare del voto. Probabilmente sono stati convinti dall'annullamento dei punti fondamentali del decreto del 22 novembre che avevano dato il via a questa nuova fase caotica. Ora possono di nuovo appellarsi contro le decisioni presidenziali: questo significa anche che, controllato lo svolgimento del referendum, potranno annullarlo come avevano già fatto con la commissione costituzionale e il Parlamento.
I giudici chiedono però che venga loro garantita la possibilità di operare in sicurezza. Ci ha pensato sempre ieri Mohamed Morsi, dando l'ordine alle forze armate di garantire quella sicurezza, di tenere sotto controllo tutti i palazzi del potere e i seggi, di impedire ogni violenza fino ad arrestare anche i civili.
L'annuncio del decreto era già stato dato sabato dal giornale «al-Ahram». Ieri la conferma. Amr Moussa, ex ministro degli Esteri, segretario della Lega araba e ora uno dei leader del fronte delle opposizioni, è preoccupato e stupito: «Noi non intendevamo rovesciare il presidente, volevamo solo una costituzione migliore». Oggi sarà un'altra giornata di manifestazioni organizzate dall'opposizione al Cairo e nel Paese. È l'ultimo tentativo di fermare il referendum, e forse non basterà.
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IL NODO DEL DEFICIT
Impegni traditi?
La sospensione degli aumenti fiscali decisa dal presidente Mohamed Morsi potrebbe mettere in pericolo la capacità dell'Egitto di assicurarsi un prestito da 4,8 miliardi di dollari dal Fondo monetario internazionale. Gli aumenti - rialzi dell'imposta sulla vendita di beni e servizi dalle bevande alcooliche alle patenti di guida - fanno parte di un programma di austerity presentato dal Governo egiziano all'Fmi per ottenere un prestito destinato a stabilizzare le finanze dello Stato. Il Fondo chiede una riduzione di un deficit di bilancio pari all'11% del Pil, ma è anche preoccupato dal calo delle riserve in valuta, ridotte a 15 miliardi di dollari dall'inizio della rivolta contro il regime di Hosni Mubarak, nel febbraio 2011. In questi mesi l'Egitto le ha utilizzate per sostenere la valuta. Il board del Fondo monetario si riunirà il 19 dicembre per prendere una decisione sul prestito.