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Questo articolo è stato pubblicato il 12 dicembre 2012 alle ore 08:30.

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Gli italiani continuano il ritiro mentre il Pentagono dubita delle capacità dell'esercito afghanoGli italiani continuano il ritiro mentre il Pentagono dubita delle capacità dell'esercito afghano

Continua il progressivo ritiro delle truppe italiane dall’Afghanistan Occidentale. Ieri a Herat i vertici delle forze di sicurezza afghane e il generale Dario Ranieri, comandante del Regional Command West di ISAF e della brigata alpina Taurinense, hanno firmato il documento che sancisce la cessione alla polizia e all`esercito afghani della guida delle operazioni di sicurezza in tutta la provincia di Herat. Più a sud nel distretto di Bakwa (provincia di Farah)  gli alpini del 2° reggimento hanno passato le consegne della base avanzata di Camp Lavaredo a un centinaio di militari dell`esercito afghano. Negli ultimi quattro mesi la Task Force South East comandata dal colonnello Cristiano Chiti e costituita da compagnie del 2° reggimento, specialisti del 32° genio guastatori e del 232° reggimento trasmissioni hanno condotto le operazioni congiunte on le truppe afghane Shaping South e Al Dhui arrestando numerosi insorti e sequestrando ingenti quantitativo di armi e munizioni nel tentativo di indebolire le capacità dei talebani presenti in quest’area e soprattutto lungo la Ring Road e la strada 515. Le due operazioni si sono sviluppate per oltre otto settimane nelle provincie di Herat e Farah e hanno visto scendere in campo oltre 4.mila soldati e poliziotti afghani e 2 mila italiani appoggiati da elicotteri, cacciabombardieri AMX e “droni” Predator.

Nei mesi scorsi le truppe italiane avevano già ceduto agli afghani i settori di Bala Murghab (a nord, nella provincia di Badghis) e del Gulistan, poche decine di chilometri a est di Bakwa dove il presidio dell’esercito verrà affiancato nelle prossime settimane da forze scelte della Terza brigata di polizia afghana affiancate da consiglieri militari statunitensi. Il ritiro italiano da tutto il settore orientale di Farah, territorio di confine con la provincia “calda” di Helmand, lascia aperti molti dubbi circa le possibilità delle forze di Kabul di affrontare gli insorti prive di mezzi protetti ed elicotteri. Perplessità che non riguardano solo l’Ovest ma tutto l’Afghanistan e che sono state espresse esplicitamente dal “Rapporto sui progressi verso la sicurezza e la stabilità in Afghanistan”.

redatto dal Pentagono nel quale emerge come solo una delle 23 brigate dell’Afghan National Army (Ana) sia oggi in grado di combattere autonomamente senza il supporto delle truppe della Nato. Lo studio ammette che il livello di violenza nel Paese è superiore (tranne che nei centri urbani di Kabul e Kandahar)  al periodo precedente l’invio dei 33 mila rinforzi statunitensi autorizzati da Barack Obama a inizio 2010 ma gli attacchi talebani sarebbero aumentati solo dell’uno per cento nei mesi scorsi durante la fase di ritiro dei rinforzi statunitensi. Il rapporto che ogni sei mesi il Pentagono presenta al Congresso sulla situazione in Afghanistan, doveva diventare pubblico prima delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti, ha raccontato ieri il New York Times ma la sua presentazione è stata posticipata senza spiegazioni dal Dipartimento della Difesa.

Il documento riporta dati raccolti tra aprile e settembre e vede la luce in concomitanza con le valutazioni della Casa Bianca circa la tempistica del ritiro dei 68 mila militari statunitensi ancora presenti in Afghanistan. Fonti militari parlano di un confronto in atto tra  il generale John R. Allen, comandante delle truppe alleate in Afghanistan, che  vorrebbe mantenere la maggior parte dei 68mila soldati americani in almeno fino al prossimo autunno, e la Casa Bianca che vorrebbe accelerare il rimpatrio delle truppe anche per ragioni politiche considerato che dei 2.165 caduti americani nel conflitto afghano iniziato nell’ottobre 2001 ben 1.218 sono morti dal 2010 a oggi. Il ritiro verrà completato alla fine del 2014 anche se Washington e Kabul hanno aperto negoziati circa la consistenza delle forze anti-terrorismo e degli istruttori militari americani che resteranno nel Paese dopo quella data.

Secondo le valutazioni del Pentagono ''l'insorgenza guidata dai talebani resta determinata e conserva la capacità di piazzare un numero consistente di ordigni esplosivi improvvisati e di condurre attacchi isolati di alto profilo '' e “mantiene anche una notevole capacità di rigenerarsi''. La notizia positiva è che gli insorti  sono sempre meno in grado di sferrare attacchi diretti contro i soldati americani e afghani e per questo ricorrono sempre più spesso a ''omicidi, sequestri, tattiche intimidatorie, e insider attack nei quali infiltrati talebani nei ranghi dell’esercito afghano attaccano le truppe alleate. Quest’anno si sono registrati 37 casi del genere con oltre 60 morti tra i contingenti della Nato, contro i soli due del 2007, quando però esercito e polizia afghani contavano poche decine di migliaia di uomini in confronto agli attuali 350 mila effettivi.
Nel complesso il ritiro di 50 mila militari alleati ha contribuito per il secondo anni consecutivo a ridurre le perdite alleate scese a oggi a 391 militari da gennaio (301 statunitense, 44 britannici e 46 di altri contingenti tra i quali 7 italiani) contro i 566 dell’anno scorso e i 711 del 2010.

Il governo afghano conferma però l’incremento delle perdite tra i suoi reparti salite a 300 caduti al mese tra esercito e polizia che oggi pianificano e conducono l'80 per cento delle operazioni rispetto al 50 per cento dei mesi estivi.Il report del Pentagono sottolinea inoltre come la ''diffusa corruzione'' continui a contribuire all'indebolimento del governo centrale, unita all'impossibilità di accesso ''alle zone rurali a causa della mancanza di sicurezza'', alla ''mancanza di coordinamento tra governo centrale, province e distretti'' e agli squilibri nella ''distribuzione del potere tra potere giudiziario, legislativo ed esecutivo''. Il Pakistan inoltre, secondo il Pentagono, persiste nel fornire supporto ai talebani anche se si nota “un miglioramento a livello generale nei rapporti tra Islamabad e Washington”.

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