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Questo articolo è stato pubblicato il 12 dicembre 2012 alle ore 06:39.

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TOKYO. Dal nostro inviato
Alle elezioni politiche di domenica prossima il Giappone si prepara a virare verso una destra da «Big Government», che intende esaltare il ruolo dello Stato nell'economia sia con nuove manovre di stimolo basate sulla spesa pubblica sia con il tentativo di costringere la banca centrale a politiche monetarie ultra-espansive finalizzate a creare una moderata inflazione e a indebolire il cambio.
Gli ultimi sondaggi diffusi ieri (Mainichi, Sankei) indicano che, dopo una pausa (di 3 anni) quasi inedita nell'intero dopoguerra, il Partito liberaldemocratico (Ldp, Jiminto) tornerà al potere con una maggioranza alla Camera Bassa che – con il tradizionale alleato New Komeito – potrebbe arrivare ai due terzi dei seggi: una percentuale che gli consentirebbe di ignorare l'emergere di una concorrenza populista (da alcuni partiti minori di nuova formazione) e soprattutto aggirare gli ostacoli all'azione di governo che potrebbero venire dalla Camera Alta, dove non esiste una chiara maggioranza (per il secondo ramo della Dieta sono previste elezioni parziali a luglio). Il paradosso è che l'Ldp non si è nemmeno premurato di dare un segnale di svolta rispetto al passato: Shinzo Abe – il suo leader da poco rieletto, candidato premier – non può nemmeno essere inquadrato nell'«usato sicuro», visto che la sua precedente esperienza da primo ministro – per un anno, tra il 2006 e il 2007 - è stata infelice e si è conclusa con un suo esaurimento psico-fisico oltre che politico.
Ma Abe può contare su due veri grandi elettori. Anzitutto, la percezione di fallimento del Partito democratico, assurto al potere nel 2009 tra grandi speranze di cambiamento: promesse disattese in 3 anni in cui si sono avvicendati tre diversi premier e si sono verificate due recessioni economiche, l'ultima in atto. In secondo luogo, l'aggressività cinese (scatenatasi in estate per le contese isole Senkaku) e la minaccia nordcoreana (con un nuovo lancio missilistico, sia pure rinviato) hanno creato un'atmosfera di insicurezza che spinge l'elettorato nelle braccia di un campione della destra nazionalista che già 4 anni fa aveva cercato di modificare la costituzione ultra-pacifista del Paese.
Così Abe ha ritrovato una certa popolarità in una campagna elettorale che, come al solito, si svolge in stile anni 70: in un Paese per molti versi ipertecnologico, le limitazioni di legge all'uso dei media (Internet compreso) costringono lui e gli altri leader a fare comizi su furgoncini, tra altoparlanti e volantini, davanti agli spiazzi delle stazioni. Per raggiungere un'audience giovanile, non ha trovato di meglio che organizzare il comizio finale di sabato ad Akihabara – il quartiere di Tokyo dei gadget elettronici e del "cosplay" - in compagnia di un altro ex premier di cui è nota la predilezione per i manga, Taro Aso.
«Dalle elezioni potrebbe arrivare un significativo cambiamento nelle politiche della Banca del Giappone e una nuova era (di indebolimento) per lo yen», osserva Gabriel De Kock di Morgan Stanley. Abe, del resto, è già riuscito a frenare lo yen con le sue minacce all'indipendenza della banca centrale (BoJ), il cui governatore Shirakawa dovrà essere sostituito in aprile, poco dopo il rinnovo di altri due membri del board. Senza cambiare la legge, potrebbe bastare ottenere dalla Dieta l'approvazione di tre «colombe» nel board perché la banca centrale acconsenta – come Abe chiede – a fissare un chiaro obiettivo di inflazione al 2% da ottenere con mezzi non ortodossi, forse persino con l'acquisto di bond esteri.
Misure che esporrebbero Tokyo all'accusa di entrare nelle «guerre valutarie» su cui vari Paesi sembrano ormai orientati (come ha rilevato ieri il governatore della Banca d'Inghilterra Mervyn King). Ad ogni modo, già 4 giorni dopo le elezioni la BoJ potrebbe allentare ancora la politica monetaria, sotto forma di ampliamento del programma di acquisto di asset.
Il premier uscente Yoshihiko Noda ieri ha avvertito che Abe potrebbe minare la credibilità dell'indebitatissimo Sol Levante, moltiplicando la spesa pubblica e violando la sacralità della banca centrale, oltretutto senza impegnarsi a varare il previsto rialzo dell'imposta sui consumi nel 2014. «A inizio 2013 ci attendiamo una nuova consistente manovra di stimolo fiscale», dice Tomo Kinoshita, capo economista di Nomura, che anche per questo conferma le sue attese di un ritorno della crescita nel primo trimestre.
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