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Questo articolo è stato pubblicato il 14 dicembre 2012 alle ore 10:00.

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TOKYO - La probabile vittoria di Shinzo Abe nelle elezioni giapponesi di domenica prossima pone una seria incognita sull'andamento dei mercati finanziari nel 2013. Parola di Richard Koo, l'autorevole economista del Nomura Institute che con la sua teoria della "recessione da balance sheet" (diversa dalle recessioni ordinarie) ha portato l'argomento teorico più intrigante nel dimostrare - alla luce dell'esperienza giapponese- i rischi delle politiche di rigore fiscale nei momenti di scarsa domanda da parte del settore privato.

Koo nota che all'inizio di quest'anno l'attenzione del mondo era focalizzata su elezioni e cambi della guardia in Russia, Taiwan, Usa e Cina: alla fine tutto è andato per il verso più atteso, con i candidati "safe" tutti rieletti e il passaggio del potere senza particolari scossoni a Xi Jinping a Pechino. «Ora è il turno del Giappone: il leader dei liberaldemocratici Shinzo Abe sta per trionfare con i suoi atteggiamenti anti-banca centrale e anti-Cina, cosa che solo qualche settimana fa nessuno anticipava in questi termini. - afferma Koo - va quindi prestata molta attenzione non solo alla situazione politica ma anche alle reazioni dei mercati».

A suo parere la situazione politica in Giappone è senza precedenti: il Partito Democratico del premier uscente Yoshihiko Noda - al potere negli ultimi tre anni e 4 mesi - si è orientato verso le politiche conservatrici che erano tradizionali presso il Partito Liberaldemocratico, mentre quest'ultimo è stato sospinto da Abe verso atteggiamenti più populisti, in mezzo al proliferare di formazioni politiche spesso malate anch'esse di populismo. Non a caso il Partito Democratico - che aveva conquistato il potere nel 2009 promettendo tra l'altro ampi assegni familiari a tutti - ha non solo cancellate questo tipo di promesse dal suo manifesto elettorale, ma sta pagando il fatto di aver rinnegato l'impegno a non aumentare l'imposta sui consumi (che invece proprio Noda ha fatto di tutto per far approvare, con efficacia a partire dal 2014) ; inoltre il PD appare più favorevole dei liberaldemocratici ad avviare negoziati di libero scambio con gli Usa attraverso la formula multilaterale della Trans-Pacific Partnership.

Abe, invece, si è concentrato sul BoJ-bashing, ossia sulle pressioni verso la Bank of Japan perché consegua un target significativo di inflazione con mezzi sempre meno ortodossi. «Penso che Abe stia facendo un gioco molto pericoloso nel premere perché la BoJ continui a fornire fondi a raffica finché l'inflazione prenda piede», - osserva Koo. Una volta che davvero l'inflazione dovesse manifestarsi, potrebbe innescare un crash del mercato del titoli di stato nipponici. Il che avrebbe effetti devastanti in un Paese il cui debito nazionale è al 240% del Pil». I tassi sui Jgb sono molto bassi proprio perché il mercato ha fiducia nella Boj: se questa fiducia dovesse essere messa in forse, i tassi potrebbero impennarsi all'improvviso. E questo scenario prendererebbe consistenza se il Governo Abe dovesse riformare la legge che tutela l'indipendenza della banca centrale e scegliesse un nuovo governatore (il mandato di quello attuale, Shirakawa, scade a inizio aprile) che creda opportuno promuovere una inflazione sul 3%. Se le politiche non convenzionali di accomodamento monetario causano pochi problemi durante una recessione da balance sheet, espandere il quantitative easing solo perché non sembra far danni sarebbe un "errore molto grave" perché la forte espansione delle riserve in eccesso della BoJ finisce per diventare una "bomba a orologeria" destinata a scoppiare proprio quando l'inflazione emergerà.

Un'altra fonte di preoccupazione è la posizione di falco di Abe nei confronti della Cina. «Per quanto imperdonabile possa essere il comportamento violento dei cinesi sul problema delle isole Senkaku, è un interesse pratico del Giappone quello di procedere con molta cautela, vista l'ampiezza degli investimenti dei gruppi nipponici in Cina». A parere di Koo, Abe farebbe bene a non dare pretesti per aggravare le tensioni e piuttosto offrire alla nuova leadership cinese quel'anno di tempo di cui ha bisogno per consolidare la sua posizione inn vista della ricerca di un compromesso pragmatico. Altrimenti a soffrirne sarà non solo il Giappone: i mercati finanziari internazionali non potranno restare indifferenti.

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