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Questo articolo è stato pubblicato il 22 dicembre 2012 alle ore 08:12.

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ROMA - Le tappe non cambiano. Tra le voci che si rincorrono di marce avanti e indietro di Mario Monti, da Palazzo Chigi fanno sapere che non c'è alcun cambiamento né inversione di rotta. Lo schema resta quello che era già stato fatto trapelare nei giorni scorsi e, cioè, non ci sarà alcuna candidatura diretta né endorsement politico ad alcuna lista ma che domani detterà solo la sua agenda con le sue priorità. Dunque, dopo le dimissioni di ieri, si attende la conferenza stampa di domani quando Monti illustrerà il suo «manifesto politico» con cui farà un appello agli italiani e alle forze politiche. Solo dopo, in base alle adesioni che raccoglierà – e anche in base all'indice di gradimento dei sondaggi – scioglierà la sua riserva politica. Insomma, un cammino in due tappe: prima il programma politico, poi il battesimo alle liste di centro. Ammesso che si riesca a fare un accordo.

Già perché ieri circolvano rumors insistenti su una tensione – ai limiti dello strappo – con l'Udc di Casini e con Italia Futura di Montezemolo proprio sulle liste. La questione non è sulla trasparenza e affidabilità dei nomi da candidare – tema ugualmente centrale per Monti – ma piuttosto la questione è condizionata dal grado di impegno che il Professore metterà in campagna elettorale. Seppure non si candiderà – visto che è già senatore a vita – le liste di centro gli chiedono un «impegno pieno» in campagna elettorale e solo a queste condizioni accettano che lui interferisca sulla lista unica al Senato e sulle eventuali 4 alla Camera. In sostanza, i partiti del centro non hanno alcun interesse a far decidere le liste a Monti se poi lui non li appoggia in campagna elettorale facendo un endorsement esplicito. La questione è ancora appesa.

Al netto di questo problema non piccolo, l'altra questione sarà l'agenda: se cioè quello che dirà il Professore si profilerà come un vero e proprio programma politico o come un generico appello «a non disperdere i sacrifici fatti». Ecco, su questo punto dall'entourage di Palazzo Chigi fanno sapere che non vi sarà nulla di generico. Che lui domenica richiamerà le riforme fatte dal Governo – dalle pensioni all'articolo 18 – e chiederà che non vengano né modificate né cancellate. E già questo taglia fuori una fetta di centro-sinistra. Così come, con l'insistenza sulle liberalizzazioni, concorrenza, lotta all'evasione si metterà di traverso al Pdl berlusconiano. E sono questi i punti che Monti toccherà, oltre a quello fiscale (no alla cancellazione dell'Imu ma sì a una revisione Irap e cuneo fiscale) e al capitolo taglio di spesa e sanità pubblica.

Ma ieri è stata la giornata dell'ultimo discorso da premier pronunciato da Monti in occasione dell'incontro con gli ambasciatori. Prima ancora, incontrando i dipendenti di Palazzo Chigi, non aveva resistito alla battuta sulla data di ieri: «Dovremo terminare il nostro ruolo, ma non per colpa della profezia dei Maya». Ironia a parte, nel discorso con gli ambasciatori ringrazia per «questi difficili, ma affascinanti 13 mesi di governo» e facendo un bilancio della sua attività ritiene che il Paese sia diventato «più affidabile, competitivo e attraente per gli investitori stranieri». Ricorda le cose fatte – risanamento, riforme pensioni e lavoro, concorrenza, legge anti-corruzione, lotta all'evasione fiscale – e insiste sul fatto che la crescita «vada interpretata non solo in termini economici ma di aumento dell'autorevolezza, un brand che ha ricadute importanti». Il vero passaggio cruciale è stato quando ha detto che siamo diventati da Paese-rischio per l'Europa e la moneta unica a un Paese che invece ha contribuito a rafforzarlo. «La situazione dell'Europa e dell'euro è notevolmente migliorata anche grazie all'Italia: ho proposto all'estero l'immagine di un Paese che ha la forza e la volontà di ripartire, esempio vincente».

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