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Questo articolo è stato pubblicato il 29 dicembre 2012 alle ore 09:20.
Da oggi sono almeno tre le coalizioni politiche maggiori che si candidano al governo del Paese. L'alleanza tra il Pd di Bersani e la sinistra di Vendola, in testa ai sondaggi, il Pdl di Berlusconi ancora alle prese con la difficile alleanza con la Lega, e i riformatori di centro guidati da Monti.
Monti farà la campagna elettorale, andrà in televisione, non si sottrarrà. Sarà confronto vero. E questo è un bene. Aiuta a chiarire le posizioni. Aiuta, soprattutto, a dare una base elettorale inattaccabile a chi vuole governare il Paese. Perché sarà il voto a chiarire, indiscutibilmente, chi avrà la legittimazione a governare il Paese.
La chiarezza sarà poi ancora maggiore se quel dibattito sarà solidamente ancorato alla vera emergenza nazionale: la sofferenza dell'economia reale, la caduta dell'occupazione, la difficoltà di tenuta delle imprese e del settore manifatturiero in particolare. È nella capacità di confrontarsi, con pragmatismo e concretezza, sulle soluzioni più idonee a superare questa emergenza che si rappresenterà davanti all'opinione pubblica chi davvero merita di governare nei prossimi anni.
L'ancoraggio all'Europa, la credibilità - ma anche l'ambizione e la determinazione - per orientare l'Unione verso politiche più espansive, una politica per la crescita fatta di quegli atti concreti di cui è capace solo chi conosce davvero le imprese, i capannoni industriali, il lavoro, una ossessione per la creazione di nuova occupazione che deve essere fatta di tanto realismo e sempre meno ideologia.
È quel riformismo della concretezza che Gaetano Salvemini un secolo fa contrapponeva all'ideologismo «tutto fini e niente mezzi» dei massimalisti. Il riformismo che sarà poi alla base delle lezioni di Einaudi, dell'azione politica di De Gasperi, della spinta di Nenni e Fanfani, fino alla lucida opera di salvataggio condotta dai governi Ciampi e Amato.
Oggi siamo di nuovo lì. Con una emergenza che si ripropone e con la possibilità di uscirne affidata al crinale che separa il riformismo delle azioni concrete dagli schematismi ideologici e da ogni forma di populismo e demagogia. Il confronto elettorale aiuterà a chiarire chi è da questa parte dello schieramento e chi è dall'altra. E lo farà tanto meglio se chi sa argomentare di fatti argomenterà di fatti, senza lasciarsi tirare in contrapposizioni verbali che i suoi elettori non capirebbero.
A quel punto gli italiani sceglieranno. Chi avrà avuto più voti governerà. Ma non c'è davvero nessuna ragione perché in Parlamento le forze che avranno saputo parlare il linguaggio della verità e dei fatti non trovino il modo di collaborare per affrontare la grande crisi. Anzi, la vastità e la profondità degli interventi necessari, e la necessità di coinvolgere tutto il Paese, indicano solo ragioni che vanno nel senso di una qualche forma di collaborazione.