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Questo articolo è stato pubblicato il 03 gennaio 2013 alle ore 06:37.

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Stefano
Carrer L'economia Usa, una volta evitato il precipizio fiscale, eviterà anche la recessione e quindi farà meglio di quella europea. Prima reazione dei mercati valutari: l'euro è avanzato sul dollaro fino a sfiorare i massimi da 8 mesi e mezzo toccati il 19 dicembre sul livello di 1,33. Al di là dei fondamentali dell'economia, la rimozione di un pesante fattore di instabilità come il "fiscal cliff" rilancia la propensione al rischio degli investitori e diminuisce l'attrattività del biglietto verde come bene-rifugio. Non a caso l'euro si è apprezzato anche sullo yen, salendo ai massimi da 18 mesi intorno a quota 115. In serata la tendenza rialzista della valuta, comunque, è stata riassorbita (sotto 1,32) dai realizzi di profitto dei trader, tanto più che una soluzione in extremis del "precipizio fiscale" era largamente attesa. Ma guadagna terreno la sensazione che il 2013 possa essere un anno di guerre valutarie più esplicite di quelle percepite e biasimate da tempo dagli alfieri più rumorosi dei paesi emergenti, come il ministro delle finanze brasiliano Guido Mantega. Lo ha suggerito di recente lo stesso governatore della Banca d'Inghilterra Mervyn King ed è parso confermarlo il linguaggio senza precedenti del nuovo ministro delle Finanze giapponese Taro Aso, secondo cui «nessun Paese straniero può farci la morale» sul tema della politica valutaria. A fare le spese di una rinnovata corsa a indebolire le valute nazionali per rilanciare la competitività dei sistemi-Paese rischia di essere soprattutto l'Eurozona: un euro rafforzato è quanto di meno augurabile in un momento in cui anche Paesi membri relativamente più forti rischiano la recessione ed è imperativa una ripresa dell'economia reale per alleviare la crisi del debito. Lo scenario principale delineato dagli analisti indica un inevitabile sostegno da Washington e Tokyo a un euro già salito del 10% sul dollaro da luglio. L'economia Usa crescerà ma meno di quanto necessario per far intravedere un futuro cambio di direzione della Fed, che condiziona la fine della sua politica ultra-espansiva anche a un target sfuggente come quello dell'occupazione. Su pressione del nuovo Governo, la Banca del Giappone si avvia a perseguire un serio target di inflazione che somiglia a un tentativo di rincorrere la Fed nella gara all'allentamento e potrebbe includere il ricorso all'acquisto di bond esteri. Del resto, il numero uno della Nissan Carlos Ghosn – lungi dall'accontentarsi della risalita a quota 87, i massimi dall'estate 2010 – ha chiesto al premier Shinzo Abe uno yen a quota 100 sul dollaro per assicurare la competitività manifatturiera del Paese. Effetti a catena sono nell'aria. Preoccupato per il balzo del won su yen e dollaro, il ministro delle Finanze sudcoreano Bahk Jae Wan ha avvertito che potranno essere varate misure specifiche per indebolirlo (in aggiunta agli interventi di routine). Poiché varie valute asiatiche sono in vario modo collegate al dollaro, la competitività dell'industria europea ne soffre la debolezza anche dal di là dell'area del biglietto verde. In molti, poi, ritengono che la Cina – dopo aver lasciato apprezzare solo dell'1% lo yuan sul dollaro nel 2012, il passo più lento dal 2009 - continuerà a contenerne l'ascesa per aiutare l'export. Il paradosso, insomma, è che uno dei fattori più importanti per il rilancio dell'economia europea – un euro quantomeno non troppo forte – potrà arrivare solo da nuovi segnali di grave debolezza dell'economia reale o di crisi debitoria: elementi che possono indurre gli investitori a chiedersi se sia giustificato un cambio sulla fascia 1,3-1,4, secondo le attese prevalenti per un 2013 che segnerà il dodicesimo anno dal dimenticatissimo record negativo del 2001 a quota 0,84 sul biglietto verde.
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