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Questo articolo è stato pubblicato il 03 gennaio 2013 alle ore 06:39.

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MADRID. Dal nostro inviato
Il lunedì protestano gli insegnanti, contro i tagli nella scuola. Il martedì si fermano i trasporti pubblici. Il giovedì sciopero di giudici, procuratori, avvocati, tutti assieme, uniti per fermare le nuove tasse sui processi. Venerdì tocca ai medici e agli infermieri, anche negli ospedali l'austerity si fa sentire. E poi ci sono i dipendenti pubblici, i pensionati, gli agenti di polizia. È la settimana spagnola da almeno un anno a questa parte: l'economia è tornata in recessione e - spiegano gli analisti - ci rimarrà fino alla fine dell'anno, la disoccupazione è salita sopra il 25%, un giovane su due è senza lavoro.
La Spagna affronta il 2013 con il fiato sospeso. Guarda ai mercati e spera che tutto resti tranquillo: quest'anno dovrà rifinanziare il debito per 130 miliardi di euro, qualche punto di spread può fare la differenza. L'economia cerca fiducia nelle esportazioni: in ottobre sono cresciute dell'8,6% rispetto all'anno precedente. Rimane il grande interrogativo, sempre lo stesso da mesi: il premier Mariano Rajoy chiederà all'Europa e al Fondo monetario di intervenire per salvare l'intera economia dopo aver ottenuto gli aiuti per ricapitalizzare le banche?
Il Paese non si sblocca, anche le manifestazioni, giorno dopo giorno, perdono le speranze. «Non c'è più voglia di guardare avanti, quanto possiamo continuare così in questo Paese?», dice Ignacio Martinez, mentre cammina a Puerta del Sol, la piazza più centrale di Madrid. La stessa domanda che si poneva fino all'estate scorsa Rajoy, guardando allo spread. Martinez ha perso il lavoro, era impiegato in un'impresa di trasporti, ha cinquant'anni e una famiglia da mantenere. «Da otto mesi mi arrangio come posso. Ho fatto il barista per qualche tempo, poi mi aveva preso una ditta di pulizie ma hanno chiuso tutto». C'era anche lui tra gli Indignados, che urlavano contro i politici, contro le banche, «per cambiare le cose». Di quella massa di giovani e famiglie, di studenti e pensionati arrabbiati con «Zapatero e con Rajoy» è rimasta qualche scritta sui muri e sul lastricato, qualche manifesto di propaganda appeso alle transenne dei lavori in corso sul lato Ovest di Puerta del Sol. Come Ignacio Martinez sono 12,7 milioni gli spagnoli «in situazione di povertà ed esclusione sociale»: il 27% della popolazione complessiva, due milioni in più di quanti erano nel 2010, spiega José Maria Vera, direttore di Intermon Oxfam.
La Spagna è arrivata a un passo dal default, nell'estate scorsa: il crack del sistema finanziario e lo scandalo di Bankia avevano portato i rendimenti sui titoli decennali al 7,6% e il differenziale con i bund tedeschi era arrivato vicino ai 650 punti base, il massimo dall'introduzione dell'euro. Il prestito da 100 miliardi di euro accordato dall'Unione europea al Governo di Mariano Rajoy per ricapitalizzare le banche non aveva convinto i mercati. Il ministro del Tesoro, Cristobal Montoro, era arrivato a dichiarare che «non c'è più un euro in cassa» mentre le amministrazioni regionali, anche quelle grandi come l'Andalusia e ricche come la Catalogna chiedevano aiuto allo Stato. Le agenzie di rating erano pronte a declassare fino a junk, spazzatura.
I mercati e la speculazione hanno smesso di scommettere contro Madrid solo quando Mario Draghi è intervenuto prospettando un intervento massiccio della Bce a sostegno del debito sovrano dei Paesi in difficoltà attraverso l'acquisto di titoli pubblici. Ma anche oggi con i rendimenti sui decennali ridiscesi verso il 5% il Paese è fermo e per l'economista catalano Xavier Sala i Marti sembra sospesa anche la democrazia: «Non c'è alternativa - dice - il presidente della Spagna è Angela Merkel».
La Spagna è debole, dipende dalle decisioni di Bruxelles e di Berlino, perfino dalle vicende politiche italiane. La ricapitalizzazione delle banche è avviata ma i crediti dubbi accumulati dagli istituti spagnoli in ottobre hanno fatto segnare un nuovo record: l'11,23% del totale dei prestiti concessi. E la bolla immobiliare si sta ancora sgonfiando: i prezzi delle case anche nel terzo trimestre sono scesi del 15,2% su base annuale. Nonostante le dolorose manovre di aggiustamento dei conti - 40 miliardi di euro la Finanziaria per il 2013 - la Spagna potrebbe mancare di nuovo gli obiettivi di risanamento concordati: «Molto difficile scendere al 6,3%, sarà già tanto se in piena recessione il Governo riuscirà contenere il deficit al 7% del Pil», spiega Fabio Fois di Barclays.
Rajoy è riuscito a non perdere consensi - come dimostrano le elezioni regionali in Galizia, nei Paesi Baschi e in Catalogna - e a rimandare il salvataggio soft per l'economia spagnola. Il premier conservatore potrebbe anche riuscire a rimandare ogni decisione a dopo le elezioni in Germania, tentando a quel punto, senza i diktat di Berlino, di spuntare condizioni più favorevoli per il sostegno. Ma lo scontro con il leader indipendentista catalano Artur Mas rischia di far esplodere il sistema delle autonomie spagnole nel quale le regioni controllano oltre un terzo della spesa pubblica ma hanno una limitata capacità impositiva e vivono di trasferimenti statali. Mas insiste nella richiesta di un referendum sull'autonomia perché siano «i catalani a decidere il loro futuro».
«Le imprese, grandi e piccole, hanno bisogno di uno scenario chiaro. Serve forse una revisione dell'attuale sistema della autonomie. Ma serve soprattutto più Europa», dice Joan Rosell, presidente della Ceoe, la Confindustria spagnola. Con la crisi e la deregulation sul lavoro la Spagna diventa un Paese a basso costo di manodopera: Ford, Renault, Peugeot-Citroën stanno aumentando la produzione nel Paese, spostandola dagli stabilimenti francesi e belgi. «L'economia sta ripartendo dopo aver toccato il fondo, lo dicono le dinamiche salariali e i nuovi contratti firmati con un massimo di 0,4% di adeguamento all'inflazione. Sarebbe un delitto - spiega Rosell - perdersi ora in contrasti interni senza fine».

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