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Questo articolo è stato pubblicato il 03 gennaio 2013 alle ore 06:37.

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A mali estremi, estremi rimedi. Le banche centrali di tutto il mondo, pur con le enormi differenze tra di loro, sembrano avere adottato tutte lo stesso obiettivo: evitare, con gli estremi rimedi di politiche monetarie non convenzionali, i mali estremi di un pesante rallentamento globale causato da una crisi che non finisce mai e da politiche fiscali restrittive. Il 2012 è stato quindi il loro anno: dribblando i loro mandati, più o meno stretti, le banche centrali sono state determinanti in tutto il mondo per tirare gli Stati e l'economia fuori da guai seri. E il 2013 proseguirà sullo stesso schema: la Fed ha appena incrementato il suo programma di acquisto di titoli di Stato, lo scudo Bce dovrebbe prima o poi attivarsi, la Banca del Giappone dovrebbe avviare una potente politica espansiva, quella della Gran Bretagna dovrebbe continuarla. La marea di liquidità, insomma, non è destinata a ridursi.

Il 2012 delle banche centrali
Che le politiche monetarie ultra-espansive abbiano segnato la svolta quest'anno, e negli anni passati, è indubbio. Soprattutto in Europa. Fino all'intervento di Mario Draghi della Bce, annunciato il 26 giugno e messo a punto nelle settimane successive, l'Europa sembrava cadere a pezzi: ormai gli investitori scommettevano apertamente sulla fine dell'euro. Dal 27 luglio, quando Draghi a Londra annuncia che la Bce avrebbe fatto di tutto per salvare l'euro, il comportamento degli investitori cambia radicalmente: nessuno crede più che l'euro stia per scoppiare. Certo, i problemi non sono risolti, ma ora il mercato sa che la Bce è pronta ad intervenire. E questo ha ridotto i cosiddetti rischi estremi: ha reso l'Europa un continente dove investire, quasi normalmente.

Negli Usa la Fed si è trovata a salvare un Paese sull'orlo del baratro qualche anno prima, nel 2008-2009. Con il primo quantitative easing (politica che consiste nell'acquisto di titoli di Stato o altre obbligazioni, iniettando sul mercato liquidità), la Fed, insieme al Governo di Washington, ha evitato un possibile tracollo statunitense causato dalla crisi bancaria post-Lehman Brothers. Quella prima operazione di allentamento quantitativo ha provocato effetti tangibili sia sui mercati, sia sull'economia: nel periodo del primo quantitative easing Wall Street è salita del 25% e la ricchezza delle famiglie americane (immobiliare e finanziaria) è aumentata di 3mila miliardi. La seconda operazione di quantitative easing, annunciata nell'agosto del 2010, ha provocato effetti più limitati. E la terza, varato lo scorso settembre, è passata quasi inosservata: da allora, anche a causa del timore per il fiscal cliff, Wall Street è in calo del 3,9%. Le altre principali banche centrali si sono mosse sulla stessa falsariga: a partire da quella inglese, che fino ad oggi ha realizzato vari quantitative easing per 375 miliardi di sterline.

Il 2013 non cambia rotta
Dopo migliaia di miliardi di liquidità iniettata sui mercati, dopo tanti sforzi, la domanda sorge spontanea: gli effetti di questa droga monetaria sono stati positivi? La risposta è in parte affermativa. Di sicuro i mercati finanziari ne hanno beneficiato. Negli Usa non c'è dubbio che la Fed abbia prodotto buoni risultati anche sull'economia: il Pil è cresciuto dell'1,8% nel 2011, del 2,2% nel 2012 e aumenterà – secondo le stime di Intesa Sanpaolo – dell'1,7% l'anno prossimo. Quest'anno c'è stato anche il recupero del mercato immobiliare ed è iniziata una svolta sul fronte della disoccupazione, anche se in maniera non ancora sufficiente. Purtroppo, però, la ripresa non è stata per tutti. Secondo i dati del Census Bureau, il reddito medio delle famiglie americane è infatti calato dell'8,1% rispetto al 2007 e dell'8,9% rispetto ai massimi del 1999. E la povertà ha toccato il record dal dopoguerra. Segno che la politica monetaria può dare adrenalina alle Borse, sostegno all'economia, ma non risolve i problemi.

In ogni caso, per ora, resta un'arma fondamentale. Che nessuno vuole abbandonare. La Fed, come detto, ha incrementato il suo nuovo quantitative easing di 45 miliardi di dollari al mese. La Banca del Giappone, Paese che ha appena visto il ritorno al potere dei liberal-democratici, dovrebbe diventare molto aggressiva con una politica anti-deflazionistica molto spinta. La Bce, secondo gli economisti, non dovrebbe annunciare muove misure straordinarie (anche perché lo scudo salva-spread non è stato ancora attivato). Ma gli effetti di quelle varate nel 2012 devono ancora farsi sentire in pieno. Insomma: il mondo non è ancora fuori dal guado. E le banche centrali, pur con tutti gli effetti collaterali delle loro medicine, resteranno fomdamentali.

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