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Questo articolo è stato pubblicato il 03 gennaio 2013 alle ore 12:09.

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Agli amici che lo incontrano in questi giorni ripete: non ho colpe per quello che è successo. Ho salvato la vita a 4mila persone e in cambio mi stanno massacrando. La verità non è quella che circola sui giornali, ma quella contenuta negli atti processuali. Basterebbe leggerli per rendersene conto, spero che qualcuno prima o poi se ne accorga.

Capitan Schettino, il grande accusato del naufragio della Costa Concordia (il prossimo 13 gennaio ricorre un anno dalla sciagura), questa mattina ha lasciato la casa di Meta di Sorrento, il piccolo comune della Costiera napoletana dove lo tiene ancora costretto l'obbligo di dimora del gip di Grosseto, per fare tappa a Torre Annunziata. Chiede indietro il suo posto di lavoro, il comandante. Assistito dall'avvocato Rosario D'Orazio, Schettino è convinto di poter dimostrare che le accuse che hanno portato al suo allontanamento dalla compagnia di navigazione (il naufragio, il ritardo nei soccorsi, l'abbandono della nave) sono radicate in una ricostruzione dei fatti sbagliata, fuorviante. Che non si è adeguata alle successive acquisizioni investigative.

Prima tra tutte quella che ha portato all'iscrizione nel registro degli indagati del timoniere indonesiano della Costa Concordia, Jacob Rusli Bin, che per ben due volte sbagliò, quella maledetta sera, gli ordini impartiti dal comandate invertendo la destra con la sinistra e provocando lo "scarrocciamento" del transatlantico contro gli scogli dell'isola del Giglio, dove poi è andato a morire e dove tuttora si trova. La Costa ha licenziato il comandante dopo un procedimento disciplinare durato sei mesi e caratterizzato da due lunghe deposizioni davanti alla commissione in cui Schettino ha ricostruito, sostanzialmente, ciò che quella sera è accaduto. La società gli contesta la violazione delle norme di legge e del "minimum etico" derivante dal ruolo e dalle funzioni.

Contestazioni che Schettino rigetta, forte delle risultanze dei periti e degli studi sulla scatola nera che dimostrerebbero, secondo la sua versione, che la manovra "a sciabola" eseguita in extremis a ridosso dell'isola avrebbe evitato un devastante impatto mortale contro il promontorio del Giglio, dove la nave sarebbe sicuramente andata a schiantarsi. L'udienza di questa mattina si è chiusa con la decisione, da parte del giudice, di rigettare la richiesta della Costa di annullare il giudizio davanti all'autorità giudiziaria di Torre Annunziata, in quanto ce n'è già uno pendente a Genova, questa volta per iniziativa della compagnia di navigazione che ha chiesto al Tribunale ligure, secondo il nuovo rito Fornero, di "legittimare" il licenziamento, e con il rinvio a fine mese della prossima udienza.

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