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Questo articolo è stato pubblicato il 04 gennaio 2013 alle ore 06:37.

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MILANO
L'euro extra-large, la moneta unica in rally sul dollaro, spaventa le esportazioni italiane e gli imprenditori che ancora si leccano le ferite da un anno di ordini al ribasso e di "sberle" legate al caro-spread. Il campanello d'allarme, infatti, è un euro sopra quota 1,3 rispetto al biglietto verde, anche se proprio ieri la moneta unica è scesa provvidenzialmente al suo minimo da tre settimane, comunque pari a 1,3060 dollari. Intanto le aziende piccole e grandi corrono ai ripari adottando derivati finanziari il più possibile semplici e trasparenti che non sempre, tuttavia, alleviano l'ansia.
Il paradosso di questa situazione è che scongiurato parzialmente il "baratro fiscale" americano l'euro diventa moneta forte non tanto per una scommessa positiva dei mercati sul rafforzamento dell'economia del Vecchio Continente, quanto invece per una rinnovata propensione al rischio: la moneta unica diventa un trampolino interessante quando i trader scappano dal dollaro bene-rifugio.
Gli imprenditori italiani, dal canto loro, sono preoccupati per la forza delle loro esportazioni, con tuttavia alcuni distinguo importanti. Ugo Pettinaroli, per esempio, amministratore delegato della Fratelli Pettinaroli Spa che sul lago d'Orta produce valvole hi-tech, si dice «impensierito» da questo trend valutario ma snocciola un tentativo di copertura più industriale che finanziario: «Il 35% del nostra fatturato (in totale circa 50 milioni di euro l'anno scorso, ndr) finisce negli Stati Uniti ed è scontato che cerchiamo di proteggerci dall'ottovolante dei cambi assicurandoci a termine a valori vantaggiosi della moneta, magari a tre o a sei mesi, ma la vera copertura per noi arriva dall'avere delle filiali commerciali sul territorio. Per esempio poter contare su un avamposto importante a Detroit ci consente un efficientemento dei costi notevole anche se la produzione avviene comunque in euro».
Ma quando si parla di moneta, come ai tempi del super-franco il confronto è ancora una volta con Berlino. «Certe oscillazioni tra l'euro e il dollaro se le può permettere solo la Germania – sostiene Mario Bertoli, amministratore delegato del gruppo Metra, attivo nel settore degli estrusi di alluminio, 250 milioni di ricavi e mille dipendenti nel mondo – che riesce a incrementare il valore delle sue esportazioni, senza troppi problemi, anche con il cambio superiore a 1,25-1,30, che io considero la soglia di guardia per le nostre imprese». Metra, intanto, trattando una materia prima che a sua volta è oggetto di volatilità di prezzo, punta a fissare la quotazione sia dell'alluminio e sia del cambio con il biglietto verde, «anche se i problemi delle aziende italiane non sono certo solo questi e cito tutto il tema energetico che ci fa pagare il megawattora qualcosa come 153 euro, contro i 55 della Germania. Senza contare il caro-spread degli scorsi dodici mesi, ora raffreddatosi, che ci ha portati a incrementare i costi finanziari legati al credito fino al 50%».
Eppure il made in Italy ha un paio di carte da giocare straordinarie se non per disinteressarsi dei cambi quanto meno per mitigarne l'influsso sui bilanci: la qualità e l'esclusività. Nel settore dell'arredamento e del design, per esempio, Carlo Molteni, numero uno dell'omonima azienda, ammette che «oscillazioni tra euro e dollaro anche nell'ordine del 10% non ci spaventano più di tanto perché per noi è l'eccellenza del prodotto la prima leva di competitività, non il prezzo. Almeno entro certi limiti».
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