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Questo articolo è stato pubblicato il 09 gennaio 2013 alle ore 06:47.

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ROMA
Il road show di Silvio Berlusconi corre a pieno regime. Prima ospite a Mattino Cinque e poi di nuovo, a sera, intervistato a Otto e mezzo, il Cavaliere infonde coraggio, dice che la rimonta è in atto e la vittoria più che mai possibile.
«In questi 18 giorni, da quando sono apparso di nuovo in tv per la prima volta, abbiamo guadagnato quasi dieci punti». Avverte che non si tratta «di elettori nuovi, ma di persone che avevano votato per noi nel 2008 ma poi si erano disgustati per gli scandali e le ruberie e si erano messi dentro l'area del non voto». Di qui l'appello contro il rischio astensione: i moderati non disertino le urne «e non votino i piccoli partiti». C'è nell'ex premier l'obiettivo evidente di scoraggiare, da un lato, le adesioni al raggruppamento centrista raccolto intorno a Mario Monti. Ma dall'altro la voglia di riprendere in mano le battaglie di sempre, come quella contro la sinistra che «vuole colpire la famiglie benestanti». Per il Cavaliere infatti «la sinistra non solo dichiara che manterrà l'Imu ma dice di voler aggiungere la patrimoniale».
Sono queste ore densissime per la formazione delle liste. Di candidature si inizierà a discutere nel dettaglio dal prossimo fine settimana, secondo indiscrezioni Berlusconi starebbe valutando di passare al Senato anche se la scelta dipenderà dal numero di regioni in cui l'ex premier può essere capolista. È certo che da Palazzo Madama dipenderanno gli equilibri futuri della legislatura e per questo si ragiona di piazzare lì diversi big del partito come Sandro Bondi, Giancarlo Galan, Nitto Palma e Nicola Cosentino, Renato Schifani, Enrico La Loggia, Michela Vittoria Brambilla, Alessandra Mussolini e dove approderebbe anche Roberto Formigoni.
L'entusiasmo per il recupero nei consensi non riesce comunque di per sé a risolvere i problemi interni alla coalizione. Che la ritrovata intesa fra Pdl e Lega non abbia ricomposto del tutto le fratture prodotte nel centrodestra con la nascita della «strana» maggioranza si ha una prova indiretta nelle parole di Angelino Alfano. Il segretario ammette implicitamente come ristabilire l'asse con il partito di Maroni fosse condizione necessaria alla luce dei rapporti di forza attuali, un passaggio obbligato senza il quale neppure avrebbe avuto senso misurarsi con gli avversari («leggo critiche al nostro accordo con la Lega. Quiz: puntare a vincere insieme oppure separarci e riconsegnare Italia a Bersani/Vendola/Cgil?»). Di qui a cantar vittoria ce ne passa. In ciò Alfano è confortato dall'analisi di un altro pezzo da novanta del Pdl come Claudio Scajola, riemerso dopo le grane giudiziarie. Del patto l'ex ministro parla nei termini di un «miracolo», reso possibile dall'abilità politica di Berlusconi. «Perché con questa legge elettorale, avremmo consegnato la vittoria automatica alla sinistra di Bersani e Vendola».
Ieri il Consiglio federale della Lega ha approvato all'unanimità la relazione del segretario sull'intesa raggiunta nella notte di domenica. Si dà già per scontata la presenza di Umberto Bossi e di Roberto Calderoli nelle liste del Carroccio. In parallelo comincia a definirsi l'offerta delle componenti minori che potrebbero allargare il perimetro del centrodestra. Vittorio Sgarbi anticipa l'intenzione per il suo movimento, Intesa Popolare, di correre in tutta Italia a sostegno del Cavaliere. A Torino Guido Crosetto, ex sottosegretario e membro dell'ufficio di presidenza del Pdl, ha presentato «Fratelli d'Italia». Per le altre eventuali frazioni dell'alleanza i margini restano sfumati: forse potrebbe comparire al fianco del Cavaliere una lista di ex Dc, forse ci sarà Miccichè al Sud. E non è neanche escluso che, alla fine, spunti fuori una formazione "personale" del Cavaliere.
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@baronick

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