Storia dell'articolo
Chiudi

Questo articolo è stato pubblicato il 15 gennaio 2013 alle ore 21:56.

My24

Con il doping si vince, ma soprattutto si diventa ricchi. Grazie alle sponsorizzazioni, Lance Armstrong ha accumulato un patrimonio di 125 milioni di dollari. Adesso che il ciclista texano ha finalmente deciso di ammettere di essersi dopato per anni, ci si potrebbe aspettare che Nike e gli altri suoi sponsor pretendano la restituzione di quei soldi. Ma è improbabile. Perché agli sponsor non interessa che si associ il loro nome a fatti di doping. Eppure un'inchiesta pubblicata domani su Il Sole 24 Ore, e simultaneamente sul New York Times negli Usa, dimostra che la diffusione di quel fenomeno non è attribuibile solo ad atleti, allenatori, medici o direttori sportivi, ma anche a chi alimenta l'intero ingranaggio con i propri soldi, e cioè proprio gli sponsor.

"Ogni nuovo scandalo di doping segue lo stesso percorso: quando qualcuno viene beccato, il sistema si dimostra schoccato, dichiara l'assoluto rigetto del doping e dipinge l'atleta come una pecora nera che merita di essere mandata al macello. Dopodiché, ogni cosa continua come prima", dice l'ex ciclista tedesco Jörg Jaksche, uno dei pochi disposti a rompere l'omertà che da decenni impedisce di affrontare seriamente il problema del doping nel ciclismo. "La realtà però è che macellano un capro espiatorio, non una pecora nera. E che nessuno guarda mai alle responsabilità dei pastori. Mi riferisco a coloro che stanno ai livelli superiori, a quelli che governano gli sport e soprattutto agli sponsor."

Secondo Jaksche, per questi ultimi il sistema non ha svantaggi. "Gli sponsor traggono gli enormi benefici commerciali dalla visibilità offerta da performance eccezionali. Nel caso di un doping accertato, si limitano a dichiarare il loro disappunto. Ottengono così altra pubblicità dimostrandosi assolutamente irreprensibili. Insomma, ci guadagnano comunque. Ecco perché il sistema non è mai cambiato".

Commenta la notizia

Shopping24

Dai nostri archivi