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Questo articolo è stato pubblicato il 15 gennaio 2013 alle ore 19:44.

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Idv, Verdi, Rifondazione comunista e Pdci fuori dalle prossime elezioni politiche. Sembrerebbe questo l'esito, clamoroso, dello screening effettuato oggi dal Viminale sui 219 simboli presentati in vista del voto. I contrassegni dei quattro partiti sono stati catalogati tra quelli «senza effetti», il che vuol dire che hanno sbagliato nel presentare la documentazione necessaria. Non potranno neanche ricorrere in Cassazione: per rivedere i loro simboli dovranno aspettare le prossime consultazioni. Un errore da dilettanti, si direbbe. In realtà si tratta di una precisa strategia politica.

Idv, Verdi, Rifondazione e Pdci, insieme agli arancioni di Luigi de Magistris, hanno stretto una alleanza per confluire tutti, rinunciando ai propri simboli, nella lista Rivoluzione Civile che ha come capo il magistrato palermitano Antonio Ingroia. Il rischio era che altri movimenti, approfittando dell'assenza dei simboli dei quattro partiti "storici", decidessero di presentare contrassegni analoghi per intercettare i loro voti.

La strategia, quindi, è stata quella di presentare comunque i contrassegni di Idv, Verdi, Rifondazione e Pdci, per tagliare le gambe a possibili cloni (la legge impedisce la presentazione di simboli simili a quelli di movimenti tradizionalmente presenti in parlamento). Allo stesso tempo, però, la documentazione è stata presentata incompleta: il Viminale non ha potuto far altro che cassare i simboli. Gli elettori di Idv, Verdi, Rifondazione e Pdci il 24 febbraio avranno come punto di riferimento solo il simbolo Rivoluzione Civile di Ingroia.

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